La morte per vecchiaia non c’è sempre stata. L’ha “inventata” l’evoluzione perché utile alla vita. Impareremo a controllarla?
La morte per vecchiaia è sempre apparsa all’uomo come il destino ineluttabile di tutte le forme di vita. In realtà non è così. Per almeno tre miliardi di anni la vita (presente sotto forma di batteri e organismi unicellulari) ha fatto a meno di questo modo di morire. I batteri, per esempio, ancora oggi sono organismi virtualmente immortali, che si trasformano nei loro discendenti per continua divisione cellulare. Solo eventuali attacchi portati dall’esterno li distruggono, non il tempo. Gli individui pluricellulari che si riproducono per via sessuale, come l’uomo, sono invece destinati a invecchiare e morire. Per capire le ragioni di questa diversità bisogna rifarsi alle leggi dell’evoluzione. Eliminando i soggetti meno adatti, l’ambiente seleziona i caratteri ereditari di una popolazione. La sopravvivenza di una specie ai cambiamenti ambientali dipende dalla disponibilità di geni sempre diversi nel tempo, che danno alla specie la possibilità di cambiare e adattarsi a situazioni nuove.
La varietà e il sesso
I batteri evolvono solo attraverso mutazioni genetiche. Raramente la loro scissione dà luogo a errori di duplicazione del genoma, ma gli individui risultanti sono per lo più inadeguati e scompaiono. Tuttavia, un piccolo numero di mutazioni apporta benefici e garantisce la sopravvivenza a questi organismi rudimentali. Per le più complesse specie pluricellulari, la variazione indotta dalle mutazioni è insufficiente. Questi organismi hanno però sviluppato un altro sistema: la riproduzione sessuale. Con questo tipo di riproduzione non tutti i geni mutanti vengono eliminati, perché non tutti gli errori danno luogo ad alterazioni visibili. Nella popolazione rimane nascosta una riserva di varianti genetiche. Prendendo da essa e rimescolando i geni, la riproduzione sessuale è un’occasione per sperimentare alternative, alcune delle quali possono dimostrarsi utili al sopraggiungere di un cambiamento ambientale. In sostanza la natura si comporta come un operatore finanziario che deve investire un capitale e, per salvaguardarsi dalle incertezze del futuro, distribuisce il rischio su più fronti: acquista un po’ di obbligazioni ma anche titoli di Stato, fondi, immobili. Così, se il prezzo delle case crolla, non perde tutto. La riproduzione sessuale opera con modalità simili. Il capitale è rappresentato dal numero degli individui, gli acquisti dalle diverse configurazioni di geni. Se alcune di esse non si adattano bene ai cambiamenti ce ne sarà però sempre qualcuna che riesce a sopravvivere.
La morte serve alla vita
Senza la morte per vecchiaia questo non sarebbe possibile. La sopravvivenza degli individui anziani sottrarrebbe risorse ai giovani e diminuirebbero le opportunità di diversificazione della popolazione. Sarebbe come se il nostro mercato finanziario fosse monopolizzato da un solo gruppo di investitori, che modificano poco gli acquisti. Se qualcosa va male, può esserci un tracollo economico. La morte per vecchiaia corrisponde a un ricambio degli investitori, e quindi mantiene alta la riserva di possibilità di adattamento. La durata limitata delle generazioni è quindi una strategia abbinata alla riproduzione sessuale. Ma se la morte è una strategia, come ha fatto la natura a introdurla? Secondo gli ultimi studi esistono “geni della morte”, che limitano il numero di divisioni cellulari e sono responsabili del deperimento dell’organismo. Ma lavorano anche per la sua vita. Per esempio, la morte cellulare ostacola la crescita dei tumori. Un’altra clamorosa scoperta riguarda i “geni della sopravvivenza”, le cui istruzioni contrastano quelle dei geni della morte. In loro assenza la mortalità delle cellule sarebbe eccessiva e l’individuo non arriverebbe all’età riproduttiva. Fra i geni sembra quasi svolgersi una specie di tiro alla fune.
Prevedere la propria fine
Quindi, quegli stessi geni che, facendo morire alcune cellule, operano per l’armonia dell’intero organismo, finiscono per portare a morte l’individuo vecchio, che ha già dato il suo contributo alla riserva genetica. Studiando questi geni sarà possibile prevedere la data di morte degli individui? O addirittura bloccare il processo di invecchiamento? Difficile, perché questi meccanismi sono molto complessi. E forse dovremmo dire: per fortuna.