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Tre curiosità sui colori. [Tutto sui colori. Parte 5/5]

Rosso come un fischio, sonoro come un limone
Gli italiani sinestetici dovrebbero essere circa duemila: 1.500 donne e 500 uomini. Lo afferma il neurologo inglese Richard Cytowic, il primo ad avere studiato questo singolare fenomeno in maniera sistematica. Di cosa si tratta? Letteralmente “sinestesia” significa fusione dei sensi. In pratica, i sinestetici percepiscono forme, suoni e colori in maniera diversa rispetto alle altre persone: alcuni vedono un colore associato a ciascun numero; altri descrivono un sapore come “appuntito” o “sferico”. Un caso famoso è quello del pittore Vasilij Kandinskij, che vedeva i suoni e sentiva i colori: intitolò addirittura una sua composizione “Il suono giallo”. Il fenomeno della sinestesia dimostra quanto il nostro concetto di colore sia legato all’elaborazione cerebrale, che nei sintestetici non avviene nella corteccia ma nelle zone più “profonde” del cervello. Lo psicologo inglese Baron-Cohen ha addirittura ipotizzato che la fusione dei sensi sia normale nei neonati, e che solo nel successivo sviluppo si perda la capacità di distinguere i “colori della musica”.

Un bagno di giallo, per sconfiggere la gastrite?
Con i colori si può anche guarire? La cromoterapia è il sistema più efficace per curare una delle malattie più gravi dei neonati, l’ittero nel sangue. Da oltre trenta anni, negli ospedali, i piccoli pazienti che nascono con un eccesso di bilirubina nel sangue (cioè la sostanza prodotta dalla disgregazione dei globuli rossi, che vengono sostituiti da quelli nuovi) vengono posti sotto lampade a luce blu: i raggi ultravioletti, combinandosi con questa sostanza, in parte la distruggono, in parte la trasformano in un composto biochimico che l’organismo del neonato riesce a eliminare più facilmente. Questo è l’unico esempio di cromoterapia che la medicina ufficiale applica sistematicamente. Tutti gli altri impieghi, non avendo risultati altrettanto significativi, sono visti con grande scetticismo. «Invece noi conosciamo il colore giusto per ogni patologia, da somministrare nella forma di luce colorata irradiata sulla parte ammalata, alimenti e abbigliamento», sostiene il cromoterapeuta Gianni Camattari, del centro di psicologia integrata di Milano. «Gli stress si curano per esempio somministrando del blu, i disturbi muscolari con il verde, i disturbi polmonari e gastro-intestinali con il giallo, le depressioni e le infiammazioni con il rosso». Già gli antichi facevano ricorso a questo metodo: i templi egizi di Karnak e Tebe erano dedicati infatti alla cura del colore, mentre gli antichi romani usavano impiastri rossi (di porpora) per cicatrizzare le ferite. «L’azione terapeutica del colore si basa su un principio fisico, e cioè l’impatto delle vibrazioni elettromagnetiche prodotte dalla luce di una certa lunghezza d’onda sulle nostre cellule. E’ chiaro tuttavia che i benefici di questa pratica sono molto blandi», ammette Camattari. E infatti non possono sostituire i trattamenti tradizionali. Tutt’al più, sostengono alcuni medici, non essendoci controindicazioni, la terapia dei colori si può usare, ma come appoggio a quella farmacologica.

Ne vediamo al massimo 200
Per tradizione i colori sono sette: rosso, arancione, giallo, verde, azzurro, indaco e violetto. Questa suddivisione fu proposta da Isaac Newton nel 1672, probabilmente sotto l’influenza degli atteggiamenti mistici dell’epoca. Il sette era infatti considerato un numero di alto valore simbolico: sette erano i cieli (e il settimo coincideva con il Paradiso); sette erano le età dell’umanità secondo Sant’Agostino; sette erano i peccati capitali e le virtù teologali, e sette erano anche i sacramenti della Chiesa cattolica. In realtà i colori sono infiniti, poiché basta una minima variazione di lunghezza d’onda perché all’ occhio arrivi uno stimolo differente. Quindi lo “spettro” (cioè l’insieme di tutti i colori) contiene un numero illimitato di tonalità che sfumano l’una nell’altra. Ma quante ne può distinguere l’occhio umano? Indagini sperimentali hanno concluso che una persona con una vista normale arriva mediamente a distinguere 200 colori, ma soltanto se le sfumature simili sono accostate l’una all’altra, permettendo al cervello di notare il contrasto.

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…che più bianco non si può! [Tutto sui colori. Parte 4/5]

Dai detersivi “truccati” ai segreti delle bolle di sapone: tutti i perché dei colori più comuni.

Sono stati contati oltre dieci meccanismi di formazione del colore. Vediamo quali sono i principali, con alcuni esempi. Tutto dipende dal fatto che la luce viene assorbita, deviata e riemessa da atomi e molecole. Solo così si spiegano alcune stranezze, per esempio come mai l’aria è trasparente, mentre il cielo è azzurro.

Esiste il “bianco più bianco del bianco”?
In alcuni rari casi l’energia assorbita da un corpo viene riemessa trasformata: questo fenomeno si chiama fluorescenza, ed è sfruttato, per esempio, negli sbiancanti per i detersivi. Gli sbiancanti assorbono la luce ultravioletta del sole e la riemettono con un’energia inferiore, che cade nella zona del blu. E’ così che si crea l’impressione di un bucato “più bianco del bianco”: la luce “emessa” da lenzuola e tovaglie è effettivamente più intensa di quella che le colpisce, e in più possiede una componente blu che conferisce al bianco una sfumatura “elettrica”.

Perché il cielo è azzurro?
In teoria l’aria è trasparente, perché è composta da innumerevoli molecole di ossigeno, azoto, vapor d’acqua, anidride carbonica, che non sono in grado di assorbire la luce. La presenza di queste molecole, però, dà luogo a un fenomeno che si chiama “diffusione”, cioè una riflessione in tutte le direzioni della luce stessa: è da questa che nasce la luminosità del cielo diurno. La diffusione, però, non è “democratica”: preferisce le onde più corte, cioè quelle azzurre, e quindi il cielo è molto più ricco di azzurro diffuso che non di altri colori. Lo stesso fenomeno si verifica per tutte le sospensioni di particelle microscopiche, come il banale fumo di sigaretta.

Perché il sole è giallo?
La responsabilità è ancora della diffusione: la luce del sole risulta infatti impoverita di azzurro, perché questo colore viene diffuso più degli altri e “trasferito” nella volta del cielo. Il fenomeno si accentua quando i raggi solari seguono una traiettoria obliqua, che allunga il loro tragitto nell’atmosfera. Ecco perché al tramonto il sole si arrossa, mentre il cielo appare di un azzurro più intenso.

Perché la neve è bianca?
L’acqua non assorbe la luce, se non molto debolmente. Nella neve, però, l’acqua si trova in forma di granuli, che provvedono a riflettere o a deviare (in un fenomeno chiamato rifrazione) la luce che li colpisce, e a diffonderla in tutte le direzioni. Il risultato è che tutte le frequenze ritornano all’occhio e la neve appare bianca anziché trasparente. Lo stesso si verifica nelle polveri cristalline che non assorbono luce, come per esempio lo zucchero, il sale, l’aspirina Perché i metalli hanno colori più lucenti? Nei metalli vagano liberi moltissimi elettroni, e ciò li rende ottimi conduttori elettrici. Gli elettroni liberi, però, si oppongono alla propagazione della luce, ed è per questo che l’onda luminosa in arrivo viene riflessa quasi senza perdere energia. I metalli bianchi come l’argento, quindi, sono specchi quasi perfetti (purché siano levigati, altrimenti la luce rimbalza in tutte le direzioni, dando un aspetto opaco alla superficie). Nei metalli colorati alcune frequenze luminose vengono invece assorbite, ma l’intensità della luce rie-messa è comunque maggiore che nelle altre sostanze opache.

Perché sott’acqua i colori sono alterati?
L’acqua riflette un po’ della luce che la colpisce (è questo che ci permette di scorgere la superficie del mare) e assume quindi un colore simile a quello del cielo. Le sue molecole, però, hanno la capacità di assorbire la radiazione infrarossa, ovvero il calore, e questa capacità si estende un po’ anche al colore rosso. Bisogna però scendere almeno fino a trenta metri perché si perda ogni tono di rosso, e tutto assuma un aspetto verdastro.

Perché le bolle di sapone sono iridescenti?
Dipende da un fenomeno chiamato interferenza, che si verifica quando due onde si sommano: nelle bolle di sapone (come anche in uno strato di olio sull’acqua) una parte della luce incidente viene riflessa dalla superficie esterna della bolla, mentre una parte viene riflessa dalla superficie interna dopo una piccola deviazione. La somma delle due componenti dà origine a onde di lunghezza (e quindi di colore) variabile a seconda dell’angolo di osservazione. Quando la pellicola diventa troppo sottile il fenomeno scompare.

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Il colore nasce nel cervello. [Tutto sui colori. Parte 3/5]

Il verde dello smeraldo e il rosso lucente del rubino? Sono semplicemente frutto di impercettibili impurità. Le due gemme, infatti, hanno composizione chimica differente, ma se fossero pure sarebbero entrambe trasparenti. E’ dunque solo l’intrusione di qualche atomo di cromo (circa uno ogni centomila) che genera in essi il colore: gli atomi estranei, infatti, assorbono tutti i colori della luce meno uno, quello che noi vediamo. Le impurità, però, agiscono in modo diverso a seconda del campo elettrico interno della gemma. Ecco perché in un caso si genera il verde e nell’altro caso il rosso.

La luce prosciugata
Nello stesso modo, cioè con processi che coinvolgono una parte minima degli atomi, nasce la maggior parte dei colori che ci circondano. Gli oggetti opachi, per esempio, hanno una sottilissima pellicola superficiale che si comporta esattamente come un filtro: trattiene la maggior parte della luce e riemette soltanto una “porzione” del raggio. Questa porzione impoverita viene captata dai nostri occhi, trasmessa al cervello e infine interpretata come colore. La luce, infatti, è costituita da una miscela di radiazioni di varia frequenza, come si può notare scomponendo un raggio luminoso attraverso un prisma (il primo a farlo fu Isaac Newton). Alcune di queste frequenze corrispondono ai colori; altre, come i raggi ultravioletti o gli infrarossi, sono invece invisibili ai nostri occhi. Più in generale, quando la luce colpisce un oggetto possono verificarsi quattro situazioni: 1) Tutta la luce viene assorbita: la sostanza appare nera. 2) Tutta la luce viene riflessa: la sostanza si comporta come uno specchio. 3) Tutta la luce viene trasmessa: la sostanza è trasparente. 4) Una parte della luce viene riflessa, una parte viene assorbita (contribuendo a scaldare il corpo), e una parte viene riemessa con la stessa lunghezza d’onda: è il colore dell’oggetto.

Bastoncelli e coni
La sensazione di colore, d’altra parte, dipende anche dagli organi umani legati alla visione, ovvero la retina e la corteccia cerebrale. Nella retina ci sono due varietà di cellule: i bastoncelli e i coni. I primi sono sensibilissimi alla luce, ma non ai colori, e quindi sono particolarmente utili nella visione notturna. I secondi si suddividono in tre famiglie che contengono tre diverse proteine sensibili rispettivamente al rosso, al verde e al blu. Quando queste proteine vengono colpite da luce della giusta lunghezza d’onda, “si eccitano” e trasmettono un segnale elettrico al cervello. Ben il 30 per cento della corteccia cerebrale lavora per decodificare questi segnali visivi (contro il 3 per cento destinato ai segnali uditivi), anche se non è ancora chiaro come si svolga il processo, e alcuni fenomeni risultano inspiegabili.
C’è un esperimento facilissimo da fare a casa. Basta illuminare uno schermo con due fari, uno rosso e uno bianco, e mettere una mano davanti alla luce rossa: l’ombra dovrebbe essere bianca su sfondo rosa, perché tutta la luce bianca continua ad arrivare sullo schermo. Invece si vede un’ombra azzurra, perché l’occhio si fa influenzare dal colore adiacente. E’ dunque anche una questione di abitudine, di esperienza: il cervello “sa” che le ombre sono scure, e non accetta di vederle bianche. L’esperienza ha anche il merito di farci vedere i colori sempre uguali, sia alla luce di una candela (1500 gradi: luce con alto contenuto di rosso), sia sotto una lampadina (2200 gradi: luce più giallastra), sia all’aperto (il sole, circa 6000 gradi alla superficie, emette luce con abbondanza di giallo-verde). In ciascun caso gli oggetti illuminati cambiano colore, ma l’occhio compensa la variazione facendo una specie di istantaneo confronto di tutto quello che vede, e ricostruendo così i colori abituali. Questo non avviene con la luce al neon: se si compra una cravatta, si esce dal negozio per controllare qual è il colore autentico, la spiegazione è che la luce al neon contiene sì alcune frequenze che sommate danno il bianco, ma non contiene l’intero spettro dei colori: l’occhio, così, si trova spiazzato e non riesce più a fare le necessarie correzioni.

Scimmie daltoniche
I nostri tre tipi di coni sono il minimo necessario per una visione completa dei colori: ogni sfumatura può essere infatti generata sommando dosi opportune di tre colori “primari” (cioè tali che la loro somma in parti uguali dia il bianco). L’occhio umano è quindi attrezzato per distinguere tutte le tinte della natura, ma non è sempre stato così. Qualche anno fa, infatti, si è scoperto che i nostri più scimmieschi antenati avevano una visione dei colori piuttosto limitata: le due proteine sensibili al rosso e al verde, infatti, sono prodotte grazie a due geni praticamente identici (al 98 per cento), che secondo i genetisti devono essersi differenziati in tempi relativamente recenti… circa 40 milioni di anni fa. Prima di allora, probabilmente, le protoscimmie non distinguevano con chiarezza il colore del sangue da quello del fogliame.

Energie proibite
Per quanto riguarda i meccanismi di formazione del colore, resta da spiegare in che cosa consista l’assorbimento (nonché la riemissione) delle onde luminose da parte della materia. Tutto dipende da alcuni divieti in vigore nel mondo microscopico: ogni atomo ha una serie di livelli energetici permessi, e può quindi aumentare la sua energia soltanto a “balzi”, come se salisse una scala. Fermarsi a metà di un gradino è proibito dalla natura, proprio come è proibito all’acqua di scorrere verso l’alto. Di conseguenza, dal momento che ogni colore corrisponde a un’energia ben precisa, ogni sostanza può assorbire solo alcuni colori (a parte gli oggetti neri, che assorbono tutto), mentre i rimanenti colori vengono espulsi dopo una serie di “rimbalzi” e sono percepiti dai nostri occhi come miscela di colori ormai ben diversa dal bianco di partenza. L’energia catturata dagli atomi del materiale, invece, si trasforma in calore.

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Sei agitato? Mettiti in blu. [Tutto sui colori. Parte 2/5]

Il rosso eccita, il blu calma, il giallo rende allegri, il verde fa sentire più sereni. Molti studi psicologici, negli ultimi anni, hanno avuto come oggetto l’effetto dei vari colori sulla nostra psiche. «Osservare un colore provoca in noi anzitutto risposte di tipo fisiologico », spiega lo psicoanalista Claudio Widmann, collaboratore di Max Lüscher, lo psicologo svizzero più attivo in questo tipo di studi. «Se un soggetto viene sottoposto a una luce rossa, la sua pressione sanguigna, il ritmo cardiaco e il ritmo respiratorio subiscono un’ accelerazione. Diminuiscono, al contrario, se il soggetto viene sottoposto a una luce blu. A queste reazioni si associa poi un effetto psichico: per il rosso l’eccitazione, per il blu l’azione sedativa». Il primo a trovare una prova scientifica dell’influenza del colore sul nostro organismo fu Albert Szent Giörgyi, premio Nobel per la medicina nel 1937: in primo luogo scoprì che ormoni ed enzimi “possiedono” colori propri. Poi scoprì anche che questi ormoni venivano stimolati a svolgere le loro funzioni se sollecitati con luce colorata. «Questo perché il colore non è altro che l’emissione di luce e quindi di un’onda elettromagnetica. Dentro alle nostre cellule noi abbiamo dei recettori in grado di captare queste onde», dice l’immunologo e allergologo Attilio Speciani. «Oggi sappiamo, per esempio, che la melatonina, un ormone secreto dalla ghiandola epifisaria e regolatore delle funzioni immunitarie, agisce soltanto dietro stimolazione luminosa». I colori dunque possono agire sia come regolatori biologici sia come stimolatori psicologici.
L’ industria e la pubblicità sfruttano già da tempo questi principi. I fast food, per esempio, sono sempre di colore rosso e giallo, perché devono attirare l’attenzione e creare uno stimolo alla fame. Per lo stesso motivo gli aperitivi sono sempre di colore rosso: quando negli anni Settanta si tentò di introdurre bevande di colore blu, fu un fiasco clamoroso, perché il blu non ha alcun effetto stimolante.
Queste valenze psicologiche attribuite ai colori sono radicate anche nel linguaggio: in tedesco, per esempio, prendere una sbronza si dice “andare in blu”, per sottolinearne l’effetto depressivo. Per quanto riguarda il giallo, invece, è il colore del sole e della luce e quindi, secondo gli psicologi, evoca liberazione e sollievo dalle tenebre. Forse non è un caso se è anche il colore favorito, nei test, da gran parte delle donne in avanzato stato di gravidanza. Tempo fa, la compagnia aerea Swissair chiese allo stesso Max Lüscher di scegliere un colore che rendesse meno claustrofobici gli interni degli aerei e lui consigliò proprio il giallo. Pare che, di conseguenza, i passeggeri di Swissair siano aumentati del 20 per cento. Un altro esperimento singolare è stato tentato in alcune carceri degli Stati Uniti, dove è stato prescelto, per la divisa dei reclusi, il rosa: sembra che contribuisca a smorzare la tendenza alla litigiosità.
L’effetto psicologico dei vari colori è conosciuto da tempo anche nel settore architettonico. Il blu viene consigliato, negli interni, per arredare la camera da letto, il giallo e il rosso per la cucina e la stanza dei bambini, il verde per pavimenti e moquette (infonde serenità e senso di pulizia). Tuttavia nella scelta degli arredi alla fine prevalgono la moda e la tendenza culturale dei singoli Paesi. Negli anni Ottanta, con il boom dello stile postmoderno, in Italia si usavano soltanto colori pastello. Oggi stiamo assistendo all’impiego di toni più forti. Stanno arrivando anche i primi televisori e frigoriferi colorati. E’ una novità: l’Italia, infatti, a differenza di Stati Uniti e Francia, è un Paese molto refrattario ai colori accesi. Il timore, da noi, pare sia quello di mandare messaggi sbagliati e cioè di trasmettere, anziché vivacità, chiassosità. L’unico momento della nostra storia in cui il colore è entrato con prepotenza nelle case sono stati gli anni Sessanta: si facevano mobili, divani, tendaggi in arancione. Non a caso, sostengono gli psicologi: erano gli anni del boom economico e l’arancio rappresenta la voracità.
Come nell’arredo delle case, anche negli uffici le relazioni tra colore e psiche vengono tenute in scarsa considerazione. Negli standard tecnici per gli ambienti di lavoro non si parla mai di colori: l’unica indicazione è che pareti e oggetti debbano essere chiari e opachi, mai bianchi e lucidi, perché rifletterebbero la luce rendendo difficoltosa la lettura e provocando lacrimazione e annebbiamento della vista.

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Di che colore sei? [Tutto sui colori. Parte 1/5]

Siamo negli anni del blu. Negli ultimi cinquanta anni sondaggi e ricerche di mercato confermano continuamente il dato: il blu è il colore preferito da oltre il 50 per cento di europei, canadesi, americani e australiani. Seguono il verde (21 per cento), il bianco (10) e il rosso (9). Ultimo, in tutti i Paesi, il marrone. Che cosa c’è dietro a questa scelta? Secondo gli storici è tipico di ogni epoca avere un colore dominante: il bianco e il rosso lo sono stati per i romani, il giallo e l’oro per il Medioevo, il verde e il porpora per il Rinascimento, il nero per il Seicento calvinista e luterano, il bianco abbagliante per il Neoclassicismo ottocentesco. Il blu, infine, per l’età contemporanea. Il caso non c’entra: ogni colore ha precisi significati, che l’uomo gli ha attribuito fin dalla preistoria e che, in linea di massima, tali sono rimasti nel corso del tempo. Secondo questa spiegazione, il prevalere di un certo colore nella società, dunque, significherebbe anche il predominio dei valori che esso porta con sé.

Nella preistoria i colori erano considerati una forza sottile, un anello di congiunzione tra cielo e terra, gli antichi ritenevano addirittura che la connessione tra gli uomini e gli dei si palesasse concretamente nell’arcobaleno, incarnato nel mito greco della dea Iris ed esaltato anche nella Genesi biblica come suggello del patto di alleanza tra Dio e gli uomini, alla fine del diluvio universale. Secondo questa concezione, i colori dell’arcobaleno si sostanziavano nella natura e, con maggior vigore, nelle pietre preziose, che proprio per questo assumevano poteri magici. Pensiamo per esempio alle sepolture preistoriche nelle quali il defunto veniva cosparso con ocra rossa: il rosso si sostituiva al sangue per richiamare le forze vitali che avevano abbandonato il morto, e per proteggerlo nel suo cammino nell’aldilà. Per lo stesso motivo, cioè per rendersi amici gli dei attraverso pratiche magiche, i babilonesi costruivano i loro templi, le ziqqurat, dipingendo ogni piano (erano sei o sette) in un colore diverso. Anche gli egizi attribuivano potere al colore, tanto che per i loro geroglifici utilizzavano l’inchiostro nero con valore positivo, quello rosso con valore negativo. Da allora i colori, proprio perché legati all’intima essenza dell’uomo (gli stessi egizi usavano la medesima parola per dire “colore” e per dire “essere”), hanno assunto un significato simbolico universale, valido in ogni cultura e in ogni epoca. Così oggi il nero significa ovunque morte (oppure il suo contrario, cioè la rigenerazione); il bianco è la luce divina e la purezza; il giallo, prezioso perché assimilato all’oro, è la sacralità; il rosso come valenza positiva è sessualità e vitalità, come valenza negativa il furore; il verde, assimilato al manto vegetale, la fertilità. In tutti i popoli i colori simboleggiano questi valori. Quello che cambia, semmai, è l’atteggiamento che ogni cultura assume nei confronti dello stesso colore: per noi occidentali il nero è il colore funerario, per gli orientali il colore funerario è il bianco. Questo perché noi della morte cogliamo il lato distruttivo, gli orientali invece quello di rinnovamento, di rinascita partendo dal nulla. Un altro esempio: le spose, in Cina, si vestono di rosso. Da noi, in bianco. In Oriente infatti, nel giorno delle nozze, si vuole dare risalto al ruolo sessuale della sposa, da noi invece si vuole sottolinearne la purezza.

E il blu? Il blu, almeno in Occidente, si è imposto molto tardi: soltanto nel Medioevo, quando divenne simbolo della purezza (Giotto fu il primo a dipingere i cieli di azzurro e non più d’oro) e della Madonna. Prima, il blu si confondeva con il nero (Omero utilizzava indifferentemente i due colori) oppure simboleggiava l’eternità, perché si identificava con il cielo, che per tutti è la sede divina. Oggi il blu, in Occidente, evoca soprattutto il colore delle divise, delle uniformi e quindi porta con sé un contenuto di autorità.

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Sei daltonico???

Dopo il successo della vignetta “Anatomia di un abbraccio” ho deciso di proporvi una divertente vignetta sul daltonismo.
Subito dopo la vignetta troverete anche due brevi ma utili test!

daltonico

I test sono:
1. Sei daltonico? Scoprilo e scopri come i daltonici vedono le immagini colorate.
2. Sapete leggere?

Infine vi segnalo un simpaticissimo sito in cui potete capire come vedono i bambini. E’ in inglese ma è semplicissimo, infatti vi basterà selezionare l’età (neonato-4 settimane- 8 settimane etc etc) la distanza dell’oggetto (24 inches = 62 cm) e caricare un’immagine. Un esempio lo trovate qua.

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