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Tag: casi clinici medici

“Dica 33” parte 2

Ecco la seconda parte del post sui medici di famiglia. La prima parte la trovate QUA.

2. Depresso? Proprio no In altri casi alla base di una corretta diagnosi c’è la conoscenza umana del paziente. M.M., 55 anni, sembrava per esempio essere caduto in depressione. La moglie l’aveva portato da uno psichiatra, che aveva tentato una cura farmacologica. Il suo medico di famiglia, E. M., lo conosceva da vent’anni come un uomo allegro ed estroverso. Quando la moglie lo portò in ambulatorio, capì che era impossibile che soffrisse di una depressione così grave. Constatò anche che M. M. aveva problemi di equilibrio. Mettendo assieme gli elementi, ebbe un sospetto: quell’uomo forse soffriva di un tumore cerebrale, che alterava anche la psiche. Gli esami confermarono la diagnosi: M. M. fu subito ricoverato. E guarì.
3. Corri anche se non credi Quanto infine sia importante una preparazione specifica lo dimostra quest’ultimo caso. Una notte, quando era medico condotto, P. C. sentì bussare alla porta. «Presto, dottore, mia moglie ha un mal di pancia terribile», implorava un agricoltore della zona. P. C. era perplesso: bisognava proprio uscire in piena notte per un semplice mal di pancia? Poi ricordò le parole di un suo docente universitario: «Dolore addominale, dolore precordiale, trauma cranico: correte anche se non ci credete ». Prese la sua valigetta e si incamminò. Scoprì così che il mal di pancia era in realtà provocato dalle doglie: la donna era incinta. P. C. si improvvisò ostetrico e in pochi minuti il bambino nacque

Mal di schiena: da chi vai?
Il medico di famiglia non è un tuttologo. Se dunque il paziente soffre di un disturbo serio, è corretto che consigli di consultare uno specialista. Spesso, tuttavia, i malati scavalcano il medico di famiglia e decidono da soli a chi rivolgersi. Una scelta simile può rivelarsi fonte di guai: se si consulta il professionista sbagliato, si perdono tempo e denaro. Reumatologo? Un esempio classico è il mal di schiena. Il primo dilemma è: ortopedico o reumatologo? Solo il medico di famiglia può dirlo, verificando se il disturbo alle ossa è di tipo infiammatorio – e allora si va dal reumatologo – oppure no. Ma possono esserci altre cause. Gastroenterologo? Un male alla spalla destra, in una particolare posizione, può essere provocato dalla colecisti, l’organo che raccoglie la bile: in questo caso serve un gastroenterologo. O dentista? Anche un problema di masticazione può causare dolori alla schiena: lo specialista giusto è allora il dentista. Un’ulteriore causa può essere un’ernia al disco, da sottoporre a un neurochirurgo.

Vertigini: dal neurologo? La testa gira, si soffre di vertigini: un errore classico è quello di rivolgersi subito a un neurologo. O otoiatra? I disturbi all’equilibrio, in molti casi, sono determinati dalla labirintite, l’infiammazione di una parte dell’orecchio interno, che dev’essere curata da un otoiatra. E i pruriti? Infine, un altro tranello: un prurito alle gambe accompagnato da problemi alla pelle come eczemi o ulcerazioni non è necessariamente un sintomo da sottoporre al
dermatologo. I disturbi possono essere provocati da vene varicose e in tal caso lo specialista giusto è l’angiologo.

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“Dica 33” parte 1

Percuote con le dita, usa vecchi trucchi: ma alla fine il medico di famiglia capisce meglio di chiunque come stiamo. Ecco come fa e perché il suo ruolo è così importante

Qual è la figura più gradita ai cittadini-pazienti all’interno del Servizio sanitario nazionale? Secondo un recente sondaggio, è il medico di famiglia. Sì, è proprio il medico della Usl, il medico di medicina generale, quello che la legge di riforma sanitaria definisce “medico di base”. Una figura cruciale nella tutela della salute. A differenza degli specialisti, infatti, che tendono a guardare al paziente “a pezzi”, cioè a vedere solo il suo cuore, il suo fegato o le sue ossa, il medico di famiglia è l’unico professionista della salute che cura in modo globale, e conosce sia il corpo sia la psiche del paziente.

Settemila esami
Il lavoro del medico di famiglia è profondamente cambiato negli ultimi anni. Una volta il rapporto con i pazienti era ancora più stretto. I vecchi medici condotti, che seguivano un territorio con i suoi abitanti, entravano più spesso nelle case della gente. E magari non avevano bisogno di fare un’anamnesi accurata sulle malattie familiari del paziente perché conoscevano personalmente nonni, zii, parenti. Ma era diversa anche la medicina. Alla fine degli anni ’40, gli esami diagnostici che si potevano prescrivere erano in tutto una decina. Oggi si può arrivare a oltre settemila. È ovvio che in queste condizioni per guarire il malato il medico di famiglia doveva basarsi sulle sue conoscenze teoriche e pratiche.

Diagnosi a base di “erre”
Nella preparazione universitaria veniva data grande importanza alla semeiotica, cioè all’esame del paziente con metodi non strumentali. Un esempio classico è il celebre “dica trentatré”. Attraverso la vibrazione vocale prodotta dalle erre in questa parola, il medico può capire se ci sono malattie a livello del torace, appoggiando semplicemente il margine della mano in alcuni punti. In caso di pleurite con presenza di liquido nei polmoni, per esempio, la vibrazione è molto smorzata. Grande rilievo veniva dato anche alla palpazione di tutto il corpo, all’auscultazione – fatta appoggiando l’orecchio sul torace del paziente – e alla percussione – cioè alla tecnica di battere con un dito sul dito medio dell’altra mano appoggiato sulla parte del corpo da esaminare. I suoni erano la Bibbia del medico di famiglia: al suo orecchio allenato ogni piccola variazione era il biglietto da visita di una malattia. C’erano anche meno farmaci pronti, si davano le indicazioni al farmacista per preparare la medicina giusta.

I nuovi medici europei
I progressi degli ultimi decenni hanno portato a una sempre maggiore frammentazione del sapere medico. Ogni specializzazione – in Italia ce ne sono oltre cento – prevede numerose sottospecialità, con il risultato che i giovani laureati che vanno a fare i medici di base non hanno più la capacità di avere una visione d’insieme dei loro pazienti. Per fortuna la situazione sta cambiando, la legislazione europea, alla quale anche l’Italia si è adeguata dal 1995, ha imposto una preparazione specifica. Per diventare medico di famiglia si deve seguire un corso biennale post-laurea, che prevede anche un tirocinio in un ambulatorio, con un medico che fa da “tutor” . E anche l’università si sta adeguando. È in atto una ristrutturazione del curriculum di studi medici, che darà più spazio alla medicina extraospedaliera e al rapporto con il paziente.

Tre casi esemplari
Predisposizione a capire e conoscere il paziente, grande intuito e capacità di prendere decisioni rapide: sono queste le doti che un bravo medico di famiglia deve avere. In situazioni critiche, infatti, i suo ruolo può rivelarsi cruciale. Ecco alcuni casi esemplari.
1. Sorda, non pazza Talvolta gli specialisti non riescono ad avere dal paziente neppure le informazioni più banali. G. A., 70 anni, colta da vertigini, era ricoverata in ospedale. Si sospettava un problema di tipo neurologico: alle domande dei medici, la donna rispondeva infatti in modo sconclusionato. Fu chiamato M. B., da anni medico di famiglia della donna. Che in un attimo risolse il caso. Come? Urlando le domande nell’orecchio della paziente. La signora infatti era sorda e non l’aveva detto. E questo, oltre a causare incomprensioni, aveva orientato in modo sbagliato la diagnosi. La causa delle vertigini doveva essere cercata nell’orecchio.

Fra due giorni la seconda parte! Se ti va, nella parte destra del blog puoi cliccare sull’elefantino per iscriverti ai feed o puoi inserire la tua email per ricevere gli articoli nella tua posta elettronica!

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