Qual è il primo atto di protesta o di ribellione, il primo ricatto affettivo nei confronti dei genitori da parte di un bambino che non sa ancora parlare? Il rifiuto del cibo. Qual è il primo atto di un emigrato giunto in un luogo straniero? Cercare un ristorante che offra i piatti della propria terra o, più semplicemente, coltivare un’erba aromatica sul proprio balcone (come il basilico degli italiani o la molucheia degli egiziani). Qual è il primo atto, nel gioco della seduzione di una coppia? L’invito a cena. Il rapporto con ciò che mangiamo si crea nel momento esatto della nascita.
L’uomo sperimenta il suo primo stato d’ansia dopo poche ore di vita. Il primo pianto del bambino, quello che i pediatri chiamano proprio “fame”, è il nostro primo attacco d’ansia. E la prima poppata è il nostro primo il primo calmante. Grassi e magri, ascetici e golosi, uomini e donne, giovani e vecchi, tutti abbiamo un rapporto intenso, a volte oscuro, sempre determinante con il cibo. Da tempo immemorabile tutti siamo (anche psicologicamente) ciò che mangiamo. Qualche anno fa, in Iran, è stato ritrovato lo scheletro di un uomo dell’età di Neandertal (da 100 a 70 mila anni fa) Intorno a lui c’erano i resti di alcuni vegetali utilizzati durante il rito funebre: otto piante medicinali diverse, ma usate ancora oggi in erboristeria. La conclusione degli studiosi è stata unanime: la capacità di riconoscere istintivamente gli alimenti commestibili, e addirittura quelli “curativi”, risale alla preistoria e si è trasmessa fino a oggi non soltanto per tradizione orale o scritta. Sarebbe addirittura stata impressa nella “memoria genetica” dell’uomo, che capisce, anche senza preventiva informazione, che cosa gli fa bene e che cosa gli fa male: in diverse regioni dell’Africa, i bambini mangiano fango e terra quando hanno carenza di sostanze minerali.
Il primo cibo non si scorda mai
I gusti di ciascuno di noi si delineano nella prima fase della vita. Attraverso il cibo si instaura infatti il primo legame affettivo, cioè quello con la madre. E proprio al cibo, anche quando si è adulti e autonomi nelle scelte, si continua ad attribuire una funzione consolatoria. Quali sono gli alimenti che rassicurano di più, e sono dunque più graditi? Soprattutto quelli che facevano parte della propria dieta nel primo anno di vita, e ai quali si associano per sempre le attenzioni materne. Al contrario, chi da bambino ha provato una sensazione spiacevole (per esempio ha assistito a una violenta lite fra i genitori) mentre stava assaggiando un nuovo cibo, resta condizionato negativamente. Fino al punto di rifiutare per anni quell’alimento. Ecco come nascono le fobie alimentari, cioè l’avversione per la carne, o il formaggio e così via» (Un comportamento analogo si registra, per esempio, tra i malati di tumore e sottoposti a chemioterapia: il cibo assunto prima del trattamento viene in seguito rifiutato. Perché? Inconsciamente, si ritiene che abbia provocato il malessere causato, invece, dalla terapia farmacologica).
Si tratta di una sorta di imprinting alimentare che è stato anche verificato sperimentalmente sui topi: non solo, da piccoli, mangiano più volentieri gli alimenti di cui si cibano gli adulti che provvedono alla loro nutrizione, ma in seguito preferiscono nutrirsi dei cibi dei quali si nutrivano quando erano cuccioli.
Grasso è bello (e pericoloso)
A livello generale, l’uomo d’oggi tende naturalmente al cibo “dolce e grasso”. Le papille gustative della nostra lingua distinguono quattro sapori principali: dolce, salato, acido e amaro, ma già alla nascita il bambino apprezza soprattutto i sapori dolci. Un esperimento compiuto in Germania su un gruppo di neonati che non avevano assunto alcun alimento a eccezione del latte materno ha dato risultati chiari: chi riceveva una soluzione di acqua e zucchero restava calmo e appagato, chi riceveva acqua e sale rifiutava immediatamente il biberon. Se la predilezione per il dolce è innata, quella per il “grasso” sembra acquisita nei secoli. La dieta dell’uomo preistorico era costituita solo per l’11 per cento di lipidi. All’inizio del Novecento eravamo al 14 per cento. Oggi il rapporto oscilla fra il 35 e il 40 per cento. Il grasso aumenta la “palatabilità” dei cibi, li rende più saporiti: dunque siamo spinti all’assunzione di alimenti ipercalorici anche quando non ce n’è bisogno. La contraddizione della moderna alimentazione è in fondo tutta qui: la componente lipidica rende i cibi più piacevoli, ma fa ingrassare, e dunque costringe alla dieta. Ma la dieta è rinuncia al cibo, cioè al principale elemento consolatorio dell’uomo: ciò crea nuova ansia, che porta ad assumere altro cibo, e il cerchio sembra chiudersi in un vortice di nevrosi.
Fra due giorni la seconda parte! Se ti va, nella parte destra del blog puoi cliccare sull’elefantino per iscriverti ai feed o puoi inserire la tua email per ricevere gli articoli nella tua posta elettronica!
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