Psiche e Soma

Ricette per una vita migliore!

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La manutenzione della colonna vertebrale.

La manutenzione si fa così: molto moto, mangiare sano. E occhio agli zaini pesanti

Per rimanere efficiente, la colonna vertebrale deve lavorare, cioè muoversi. Quando è sottoposta a uno sforzo prolungato, infatti, anche se non intenso, si generano correnti elettriche che stimolano la creazione di nuovo tessuto osseo. La scarsità di moto, o addirittura l’immobilismo, può provocare invece osteoporosi. Vale a dire fragilità delle ossa. Se si è costretti a rimanere immobili per più giorni, l’organismo preleva il calcio dalle ossa per utilizzarlo dove è più necessario, come accade durante le malattie prolungate.
Quali altre regole occorre osservare per mantenerla in forma?

Recupero limitato.
Il lavoro fa bene alla colonna vertebrale ma, in certi casi, può anche danneggiarla. Succede quando la si sottopone a sforzi prolungati per lungo tempo. I dischi intervertebrali si accorciano di giorno per la perdita di liquido che poi recuperano di notte, allungandosi, ma se il recupero non è sufficiente, i dischi non riacquistano le dimensioni normali, le vertebre si avvicinano l’una all’altra, si riducono le possibilità di movimento reciproco e la conseguenza è l’artrosi.

Attenti al calcio.
Il latte e i suoi derivati sono la migliore fonte naturale per rifornire di calcio l’organismo, indispensabile soprattutto nelle prime fasi della vita e nelle donne. Per queste ultime, infatti, il rischio di osteoporosi dopo la menopausa dipende dalla quantità di calcio assorbita tra i 25 e i 30 anni di età.
Le verdure inoltre sono una preziosa fonte di calcio, seconda per importanza soltanto ai latticini e, a differenza di questi, sono totalmente “sicuri”. Tra i vegetali più ricchi di calcio ricordiamo gli agretti, le verdure a foglia verde (cicoria catalogna, cime di rapa, rucola e lattuga), i broccoli, il sedano da costa, il finocchio, i cavoli ed i porri. La salvia, con i suoi 600 mg di calcio per 100 grammi, rappresenta uno dei vegetali più ricchi di questo elemento; come tale, risulta un aromatizzante particolarmente prezioso per aumentare l’apporto quotidiano di calcio, specie se utilizzato al posto del sale. L’eccesso di sodio, infatti, tende ad impoverire le ossa di calcio, predisponendole allo sviluppo dell’osteoporosi. Anche il caffè, gli alcolici, il fumo, una dieta decisamente iperproteica e il ridotto consumo di verdure, sono fattori potenzialmente responsabili di carenze calciche.
L’importanza delle verdure ricche di calcio nella dieta è particolarmente rilevante nell’alimentazione delle persone intolleranti al lattosio. Questi individui, considerata la carenza di lattasi, sono infatti costretti ad allontanare in maniera più o meno drastica gli alimenti ricchi di lattosio dalla propria dieta. Di conseguenza, privandosi di latte e latticini (anche se lo yogurt e i formaggi a pasta dura sono generalmente ben tollerati), nel lungo periodo è possibile sviluppare carenze di calcio. Analogo discorso per i vegani.

Peso eccessivo.
La colonna vertebrale non dovrebbe essere costretta a portare un peso superiore alle sue capacità: né pesi eccessivi, né corpi troppo appesantiti. Recenti indagini mediche condotte in diverse città hanno invece dimostrato che, sia pure con percentuali variabili, gran parte dei bambini italiani è in eccesso di peso. Questo è dovuto a un’alimentazione scorretta, sia per il tipo di alimenti (abbondanza di cibi ad alto contenuto di calorie e poca verdura e frutta), sia per il modo disordinato di alimentarsi. La conseguenza è che il peso supera i limiti normali e la schiena deve fare sforzi maggiori per “reggerlo”. Altrettanto dannosi, soprattutto per i bambini, possono essere i cosiddetti “carichi scolastici”: zaini e cartelle. Soprattutto fino all’età della scuola media, cioè fino a quando la spina dorsale è ancora debole, è meglio limitare al massimo il loro peso. Ma bisogna anche fare attenzione al modo con cui il peso viene sistemato sulla schiena. Lo zaino è preferibile perché permette di distribuire il peso su entrambe le spalle, ma occorre che all’interno libri e quaderni siano sistemati in modo da non “tirare” di più da un lato. Le cartelle o le borse che si portano appese a una sola spalla sono meno indicate, perché tendono a gravare su un solo lato del corpo, rischiando di provocare asimmetrie nella colonna vertebrale.

Mezzi di difesa.
Il metodo più sicuro per prevenire i danni alla colonna è di svolgere una corretta e regolare attività fisica. Gli sport più adatti sono la ginnastica, il nuoto e la pallacanestro, perché permettono di sviluppare in modo regolare tutti i fasci muscolari della schiena. Ma, in generale, tutti gli sport hanno effetti positivi, esclusi quelli asimmetrici, come il tennis, che tendono a esasperare il lavoro di metà del corpo, lasciando inattiva l’altra. In questi casi, per evitare il rischio di sbilanciamenti nello sviluppo muscolare, è bene far precedere allo sport un periodo di ginnastica per mantenere in attività tutti i fasci muscolari. La colonna vertebrale, infine, si difende anche a letto. E’ meglio non dormire sul ventre, perché il collo, e quindi le vertebre cervicali, sono obbligati a stare in posizione innaturale. E’ bene anche che il materasso sia abbastanza rigido.

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Che cos’è la morte in culla? Come prevenirla?

La “morte in culla” detta anche Sids (dall’inglese Sudden infant death syndrome, Sindrome della morte infantile improvvisa) è la morte di un neonato apparentemente sano che si manifesta senza sintomi e cause evidenti. Questo evento può accadere senza preavviso nel primo anno di vita del bambino. Ha un’incidenza molto bassa, un caso ogni 1.500 neonati.

Pur non essendo ancora chiari i motivi che portano alla morte in culla, numerosi studi scientifici hanno permesso di stilare una lista di comportamenti che possono servire come prevenzione.
Su tutti l’indicazione di fare dormire il neonato sempre a pancia in su. Inoltre si consiglia alle mamme di non fumare soprattutto in gravidanza né successivamente in presenza del piccolo, e di preferire l’allattamento al seno. Sembra utile anche fare dormire il bambino nella sua culla sopra un materasso rigido, senza cuscino, senza piumini ingombranti o vestiti che ne aumentino troppo il calore corporeo e in un ambiente che possibilmente non superi i 20 °C.

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In caso di infarto

Ecco come fare per reagire in modo più efficace.

In Italia se ne verificano ogni anno 350 mila. Quasi la metà viene curata male o con ritardi che possono essere fatali. I farmaci antiinfarto,o fibrinolitici, sono infatti efficaci soprattutto se dati entro due ore. Ecco i risultati di un grande studio condotto dall’Istituto Mario Negri di Milano sugli errori più comuni. E i suggerimenti per evitarli.

1. Niente medico
In caso di infarto minimizzare il tempo di ricovero è fondamentale. Per questo chiamare il medico è sbagliato: meglio andare subito in ospedale (eventualmente prendendo un’aspirina). In Italia solo una volta su tre l’ambulanza è chiamata entro 20 minuti. Quattro volte su dieci ci vogliono da cinque a 12 ore per il ricovero.

2 Può far male in sei modi diversi
La ragione del ritardo iniziale è che pochi sanno riconoscere l’infarto. Ecco come fare. Nel 70- 80% dei casi il dolore si manifesta nella parte centrale anteriore del torace da dove si irradia alla spalla, al braccio sinistro, raramente al destro, e alla mandibola. Nel 50% dei casi il dolore interessa anche il dorso. Nel 20% dei casi l’infarto provoca dolori che non colpiscono il cuore ma lo stomaco  o la mandibola. In questi casi lo si può riconoscere dai sintomi di accompagnamento: debolezza, sudorazione copiosa, angoscia.

3 L’ideale: in 30 minuti al Pronto soccorso
L’organizzazione del centralino che riceve la richiesta di soccorso è molto importante per la rapidità del trasporto. Da quando si chiama il 118 a quando l’ambulanza arriva al Pronto soccorso dell’ospedale, 30 minuti vengono giudicati internazionalmente un tempo accettabile. Ma quattro volte su dieci da noi ci vogliono da 90 minuti a due ore e mezza: troppo. Meglio in strada. In Italia solo in alcune città – come Bologna, Udine, Ravenna e Verona – il trasporto in ospedale è soddisfacente. Secondo i ricercatori del Mario Negri, «i soccorsi sono particolarmente lenti quando l’infarto si verifica di notte o colpisce una persona che vive sola, più rapidi quando avviene in strada». Il problema non sta nella velocità delle ambulanze o nella distanza dall’ospedale ma nell’organizzazione del soccorso e nelle informazioni di cui dispongono il 118 e le ambulanze.

4 Chi arriva all’Unità coronarica in un’ora…
Al Pronto soccorso i medici visitano l’ammalato e gli fanno un elettrocardiogramma: poi lo inviano al reparto specializzato, l’Unità coronarica. Per fare una diagnosi di infarto i medici del Pronto soccorso non debbono impiegare più di dieci minuti dall’arrivo dell’ambulanza: così ha stabilito l’Associazione dei cardiologi americani durante un recente convegno. Errori di diagnosi: in Italia passano in media 20 minuti tra l’arrivo dell’ammalato al Pronto soccorso e l’entrata nell’Unità coronarica dell’ospedale. Ma in qualche caso, per una inefficiente organizzazione o per errori nella diagnosi, ci vogliono fino a tre ore.

5 …guarisce in 9 casi su 10
Su 100 italiani colpiti da infarto, 25 arrivano all’Unità coronarica entro due ore dai primi dolori, 30 entro sei ore e gli altri più tardi. La causa principale del ritardo sta nel tempo che si perde a casa – o dove si verifica l’infarto – prima di chiamare l’ambulanza. Riabilitazione. Nelle Unità coronariche (in Italia sono 400) l’ammalato è sottoposto a un prelievo e a esami del sangue per stabilire la gravità dell’infarto. Quando sono curati tempestivamente, gli infartuati guariscono 9 volte su 10. La rapidità del ricovero è l’elemento più importante anche per determinare la possibilità, dopo il periodo di riabilitazione, di riprendere una vita regolare

6. La cura: farmaci e by-pass
L’infarto è causato dal fatto che una delle arterie che riforniscono il cuore, le coronarie, viene ostruita da un grumo, o trombo. Questi grumi si sciolgono con farmaci detti fibrinolitici. Che sono però efficaci soprattutto nelle prime due ore dopo l’infarto. Chirurgia. Da un po’ di anni gli infarti più delicati possono essere curati, oltre che con farmaci, anche con l’angioplastica o con un by-pass delle coronarie. Ambedue gli interventi hanno l’obiettivo di “riaprire” le arterie che portano il sangue al cuore.

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Controlli ambientali per il paziente asmatico

La polvere di casa ed un piccolo acaro, il dermatofagoides, che in essa si sviluppa, causano frequentemente asma nel bambino ed anche nell’adulto (con minor frequenza). Raccomandiamo pertanto di seguire scrupolosamente i consigli qui riportati per cercare di eliminare al massimo la polvere della vostra casa.

MISURE DA ESEGUIRE NELLA CAMERA DA LETTO:
1) Togliere i cuscini ed i materassi di lana, di piume e di crine. Sostituirli con altri imbottiti di sostanze sintetiche (es.: gommapiuma o schiuma di lattice).
2) Pulire accuratamente con l’aspirapolvere il cuscino, il materasso, la rete ed intorno alla base del letto. Ricoprite con tela molto fitta o con federe anti-acaro il materasso e il cuscino.
3) Ogni giorno pulire con panno umido la fodera del materasso.
4) Ogni settimana cambiare e lavare le federe, le lenzuola e la sovracoperta. Pulire con l’aspirapolvere la base del letto.
5) Se nella camera c’è un armadio guardaroba, esso va vuotato oppure, se serve solo come deposito, gli sportelli devono essere sigillati con un largo nastro adesivo.
6) Le coperte di lana dovrebbero essere sostituite con coperte di cotone o di fibresintetiche ed essere lavate frequentemente.
7) Applicare alle finestre tende lavabili e lavarle frequentemente.
8) Sostituire le carte da parati della camera da vernici lavabili.
9) Togliere i mobili imbottiti o tappezzati, libreria, giocattoli ed oggetti di stoffa o pelo.
10) Togliere tappeti e moquette e, possibilmente ricoprire i pavimenti con linoleum o piastrelle.
11) Usare un aspirapolvere con sacchetti estraibili.
12) Si deve rimuovere tutta la polvere dal pavimento, dalle pareti e dal soffitto, compresa la polvere sulle intelaiature delle porte e delle finestre, nelle fessure dei pavimenti, sugli impianti di illuminazione e riscaldamento.

N.B.
Se il vostro bambino divide la stanza da letto con altre persone, tutti gli altri letti nella stanza devono essere trattati allo stesso modo.

ALTRE CAMERE
Particolare attenzione dovrebbe essere rivolta alla rimozione della polvere dai mobili almeno due volte la settimana, specialmente dallo schienale, dai braccioli e dai cuscini.
PROIBIRE DI FUMARE NEGLI AMBIENTI IN CUI VIVE IL PAZIENTE ASMATICO.

Articolo scritto dal Dr. Giuseppe Errico, responsabile dell’ambulatorio di Allergologia e Immunologia del Poliambulatorio Sociale Nuova Città di Capurso.

Cosa fare quando sospetti un’allergia a farmaci?

1 – Tener presente che allo stato attuale non esistono metodi specifici che diano la sicurezza assoluta di una diagnosi di allergia a farmaci e che siano scevri da rischio per il paziente.

2 – L’anamnesi è il mezzo diagnostico più importante.
3 – Nel caso in cui fondatamente si sospetti una reazione allergica ad un farmaco si consiglia di annotare accuratamente:
a – farmaco e suo dosaggio
b – data e tempo trascorso dall’assunzione
c – tipo e frequenza della reazione al farmaco

4 – Evitare in generale l’uso dei seguenti farmaci:
a – qualsiasi medicamento che si sospetti abbia procurato manifestazioni allergiche
b – antibiotici beta-lattamici (penicilline, ampicillina e cefalosporine).
c – anestetici locali
d – analgesici ed antinfiammatori a base di acido fenilbutazone, ecc.
e – Vit.B, Vit.B12 ed estratti epatici vari.

5 – Nel caso in cui si sia costretti a somministrare uno qualsiasi dei farmaci citati al punto 4 (escludendo quelli al paragrafo a) ricorrere sempre, nei limiti del possibile, alla somministrazione (a dosi frazionate e sotto controllo medico), per via orale evitando quella parenterale.

6 – Possono essere usati, preferibilmente per os e sempre con opportuna cautela (dosi frazionate), i seguenti preparati:
a – antibiotici: eritromicina, lincomicina, aminoglicosidi, macrolidi.
b – analgesici: paracetamolo, benzidamina, glifenina
c – antinfiammatori: tantum gocce e compresse; Tramadolo ( contramal, fortradol, fraxidol )

7 – Possono essere eseguite vaccinazioni (es.antitetanica) ma deve essere evitato l’uso di sieri immuni eterologhi ed omologhi.

8 – Il paziente deve sempre preavvisare il medico della propria condizione di ipersensibilità ai farmaci ogni qualvolta che gli venga perscritta una terapia di qualsiasi genere.

9 – Nel caso in cui il paziente debba sottoporsi ad esami contrastografici a base di iodio, deve far presente al Radiologo che è affetto da allergia a farmaci.

10-In conclusione, non assumere farmaci, mai di propria iniziativa, senza aver consultato prima il medico.

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L’assedio dei virus. Parte 2

Ecco la seconda parte del post sui Virus. La prima parte la trovate QUA.

Terapie contagiose
Ma il mezzo di trasporto può essere più raffinato, come il sangue delle trasfusioni o i fattori della coagulazione usati dagli emofilici. Così l’Aids è arrivato in Giappone e così si sono diffuse le epatiti. Anche la ricerca può causare epidemie. Nel ’92 Ebola è arrivato in un laboratorio di ricerca di Siena, con 8 scimmie-cavie, che sono state soppresse senza clamori. Molti veicoli di trasmissione si identificano dopo anni. Gli ematologi dell’ospedale di Legnano hanno scoperto che la pratica delle minitrasfusioni di sangue ai neonati sottopeso e prematuri, usata anche in Italia negli anni ’60, potrebbe essere all’origine di parte delle infezioni da epatite C di origine ignota. Ma i microrganismi si nascondono anche in ormoni, cornee e tessuti di cadavere, usati per farmaci, trapianti, mangimi. Lì dentro c’è la storia di ogni individuo, compresa quella dei virus del Paese da cui proviene e che saranno identificati in futuro. Come il prione del morbo di Creutzfeldt Jakob (la “mucca pazza” umana), trasmesso dagli estratti da cadavere, che riduce il cervello a una spugna. Maurizio Pocchiari, responsabile del registro della malattia all’ISS (Istituto Superiore di Sanità), ha calcolato che al mondo sono già 139 i morti causati dalla terapia con ormone della crescita di cadavere, e 114 quelli dovuti all’impianto di un tessuto umano.

A volte ritornano
Anche malattie apparentemente sconfitte potrebbero tornare. Come tenta di fare la malaria nella Central valley californiana, da dove era stata cacciata negli anni ’50. Nella seconda metà degli anni ’90 sono stati segnalati 16 focolai autoctoni e solo la disinfestazione ha impedito al plasmodio di ristabilirsi. E un marine di ritorno dall’Asia ha infettato, in un campeggio del Nevada, 35 scout e altri turisti. In Italia la salute delle zanzare è regolarmente controllata dalla rete nazionale di sorveglianza entomologica. Che si è attivata quattro anni fa nel Grossetano quando una donna anziana, che non era mai stata all’estero, è stata ricoverata con la malaria. L’aveva contagiata, via zanzara, una bimba infetta che abitava a 500 metri.

Virus di successo
«Se siamo ancora qui» dice Joshua Lederberg, premio Nobel e ricercatore della Rockefeller University «è perché i nostri avversari microbi hanno interesse alla nostra sopravvivenza: se moriamo noi, muoiono anche loro. Finora siamo sopravvissuti grazie a questo interesse condiviso. A lungo termine, infatti, le infezioni diventano meno virulente e l’uomo acquisisce fattori per la resistenza». I circa 200 virus del raffreddore sono un esempio di virus di grande successo. Non danno molto fastidio, quindi facciamo poco per liberarcene. E così loro hanno maggiori occasioni per diffondersi. «Ma proprio per l’enorme capacità di diffusione dei rhinovirus temo moltissimo l’ipotesi che un giorno possa emergere una forma più aggressiva» dice Lederberg. «Per la sua facilità di contagio, sarebbe letale».

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L’assedio dei virus. Parte 1

Si nasconde nella foresta africana da dove fa sortite improvvise. L’ultima, in Congo, risale alla fine di Agosto 2007 Ottobre quando in meno di un mese ha infettato 320 persone uccidendone 120. Prima, tra il 1976 e il ’99, di sortite ne aveva fatte ben otto, provocando focolai in Zaire, Sudan, Gabon e Uganda. Ebola non è un virus nuovo e non lo sono neppure gran parte degli altri,“apparsi dal nulla” negli ultimi anni.
«Esistono da sempre» dice Stephen Morse, della Rockefeller University di New York. «Ce n’è una vasta riserva in natura. Ma un tempo si spostavano a fatica, oggi girano il mondo in pochi giorni». In passato le epidemie viaggiavano per lo più al seguito degli eserciti. Nel 162 d.C. i soldati di Marco Aurelio, di ritorno dall’Oriente, portarono a Roma il morbillo. Un secolo dopo la caput mundi fu messa in ginocchio dal vaiolo. La peste nera, trasmessa dal ratto nero dell’India, arrivò in Europa nel 1346, a bordo di una nave proveniente dalla Crimea. Nel 1495 Colombo importò in Europa dalle Americhe la sifilide. Ma gli europei avevano reso più di quanto avevano ricevuto: alla Cina, che ci aveva regalato l’influenza, venne restituita una violenta epidemia non si sa se di morbillo o di vaiolo. Alle Americhe gli spagnoli “regalarono” vaiolo, morbillo, tifo e influenza, decimando la popolazione del Messico (da 25 a 3 milioni) e del Perù degli Inca (da 8 a 1 milione). Oggi gli eserciti non sono più necessari: 1,4 milioni di persone ogni giorno fanno viaggi intercontinentali, trasferendo i virus da una par-te all’altra del globo. E anche i focolai epidemici che si accendono ai margini di una sperduta foresta equatoriale possono diventare, drammaticamente, fatti nostri.

Dalla superstrada
«Trent’anni fa non ci saremmo mai immaginati di essere aggrediti così» dice James Hughes, dei Centers for the diseases control di Atlanta, che negli Usa controllano le infezioni. «Sembrava che le malattie infettive fossero in declino ovunque». Oggi l’Organizzazione mondiale della sanità (Oms) calcola che facciano 13 milioni di morti. Come escono i nemici dalle loro nicchie nelle foreste? Il virus Oropouche fu individuato la prima volta nel 1960 in un bradipo morto sul ciglio della superstrada Brasilia- Belém, appena inaugurata. L’anno dopo era a Belém, e aveva colpito 11 mila persone. Come c’era arrivato? Trasportato dai moscerini. I baccelli vuoti del cacao, coltivato dove prima c’era la foresta, consentivano al moscerino di riprodursi a dismisura e con esso aumentava il virus suo ospite. In Argentina, al posto della pampa, è stato piantato il mais: una cuccagna per il Calomys musculinus, un topolino. Ma insieme ai topi è cresciuta la popolazione di Junin, virus della febbre emorragica argentina. In pochi anni il suo raggio d’azione è aumentato di 7 volte. Oggi infetta 450 mila persone l’anno. «Nuove coltivazioni, strade, bacini irrigui, dighe, sono responsabili di gran parte delle malattie emergenti » hanno concluso gli esperti dell’Institute of Medicine di New York. «Nella loro progettazione, non si studia infatti l’impatto sulle zanzare e sulle malattie che trasportano ».

Zanzare sulle navi
Una volta usciti dalla loro nicchie questi virus si spostano. La zanzara tigre, Aedes albopictus, è un ospite poco rassicurante: può trasportare i virus Dengue,Potosi, Xingu e Fort Sherman. Viveva in Asia, ma nel ’72 è giunta clandestina negli Usa, nell’acqua contenuta in copertoni provenienti da Tokyo. Oggi è ovunque! E poiché nel 1998 è già stato segnalato il primo caso di Dengue in Italia,non mancano le occasioni perché l’Aedes si riinfetti, pungendo un ammalato, e propaghi il virus. Sempre clandestino, a bordo dei mercantili, è arrivato in Occidente anche il virus Seul, nascosto fra il pelo dei ratti. È il cugino asiatico del virus di Hantaan, e causa un’altra febbre emorragica. Nel 1982 l’hanno scovato nei topi a Baltimora, Filadelfia e New Orleans.

Fra due giorni la seconda parte! Se ti va, nella parte destra del blog puoi cliccare sull’elefantino per iscriverti ai feed o puoi inserire la tua email per ricevere gli articoli direttamente nella tua email!

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Che cosa è l’ernia iatale?

Oggi un’altra domanda e risposta della rubrica: Psichesoma Answers!

In questa rubrica troverete risposta alle domande che mi avete posto via email e che ho reputato essere di interesse generale.

D. Che cosa è l’ernia iatale?
R. L’ ernia iatale consiste nella risalita di una parte dello stomaco dalla cavità addominale, sua normale sede, a quella toracica: lo stomaco, per risalire, passa attraverso lo iato, il foro della membrana diaframmatica che divide addome e torace. Di solito non dà disturbi, talvolta provoca esofagite da reflusso cioè infiammazione dell’esofago, l’ultima parte del tubo digerente in comunicazione con lo stomaco. Questo perché i succhi gastrici, irritanti, con la nuova posizione dello stomaco possono rifluire nell’esofago. I sintomi: bruciori, sanguinamento, talvolta dolori al torace. Per la cura, l’intervento chirurgico è necessario solo in pochi casi, in genere sono sufficienti medicinali antiacidi sotto controllo medico e dieta opportuna.

Hai qualche domanda da pormi? Invia subito una mail a daniele.aprile@gmail.com

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Batterio Killer: cosa fare e cosa sapere.

Inizio il post con il consiglio che reputo più importante e più valido: non allarmatevi. Informatevi bene (anche con questo post in cui proverò ad essere il più chiaro possibile) e, armati di conoscenza, filtrate le informazioni dei giornali e delle televisioni.

La situazione in Italia, per ora, è oltremodo tranquilla ed è il Ministro della Salute, Ferruccio Fazio, a confermarlo: ”Ribadisco in ogni caso che per fugare ogni rischio basta attenersi agli elementari criteri di igiene: lavare bene i cetrioli o le altre verdure e lavarsi le mani.”

Chi è il responsabile?

E’ il batterio Escherichia Coli (abbreviato in E. Coli), che è una delle specie principali di batteri che vivono nella parte inferiore dell’intestino di animali a sangue caldo (uccelli e mammiferi, incluso l’uomo), necessario per la digestione corretta del cibo. Nella grande famiglia dell’E. Coli si distinguono numerosi ceppi fari cui uno dei più pericolosi è il ceppo enteroemorragico Escherichia coli O157: H7 mentre, come comunicato dal Centro europeo per la prevenzione e il controllo delle malattie (Ecdc), il ceppo responsabile del focolaio tedesco è Stec 0104:H4.

La trasmissione avviene attraverso la via oro-fecale, e la maggior parte dei casi di malattia sono associati all‘assunzione alimentare di cibi crudi o poco cotti, contaminati dalla terra o da acque potabili contaminate, e da verdure inquinate da queste acque.

Il ceppo batterico Stec 0104:H4 produce una tossina responsabile del quadro clinico della patologia denominata diarrea causata da ceppi enteroemorragici e colite emorragica (CE).
Dopo un periodo di incubazione che si aggira tra i 3 e gli 8 giorni, il primo sintomo a comparire è la diarrea, che nel giro di poche ore diventa emorragica. Ci si deve allarmare quando assume queste caratteristiche e compaiono tracce di sangue. Non è presente febbre e i dolori addominali sono molto forti, tanto da essere spesso scambiata per appendicite. La diarrea da Escherichia coli nella maggior parte dei casi si risolve da sola nel giro di 4-5 giorni (fino ad oggi in Germani sono circa 2000 i casi riportati, la maggior parte dei quali sono guarite senza grossi problemi).
Nei casi sfortunati (normalmente il 2-7% dei casi, non sappiamo ancora la percentuale di questo nuovo ceppo, anche se probabilmente è la stessa) la tossina va in circolo e provoca la sindrome emolitico-uremica (Seu)

La sindrome emolitico-uremica (Seu) è una malattia rara che si osserva soprattutto negli anziani e nei bambini, in particolare nei primi anni di vita. È caratterizzata dalla comparsa di tre sintomi tipici: anemia emolitica microangiopatica, piastrinopenia (ridotto numero di piastrine) e insufficienza renale acuta a causa della quale molto spesso è necessario ricorrere alla dialisi. Nei bambini la Seu può avere un decorso grave fino ad essere, talvolta, mortale.

Cosa fare? Terapia e prevenzione.

La terapia è basata sulla somministrazione di fluidi e altri supporti. Il ruolo della terapia antibiotica resta controverso in quanto si è osservato l’aggravarsi delle condizioni generali di pazienti ai quali è stata somministrata. Sapete perché? Si usano troppi antibiotici, e questo batterio nel tempo è riuscito ad imparare a difendersi sviluppando un antibiotico-resistenza (ma di questo ne parleremo in un altro post).

Mai quindi come in questo caso è valido il detto “prevenire è meglio che curare”, e vi riporto le regole della prevenzione indicate dal Ministero della Salute, a cui va aggiunto il consiglio di assumere, a scopo profilattico, di yogurt contenenti fermenti lattici vivi e quello di comprare verdure locali e di stagione.

Innanzitutto il rispetto delle comuni regole d’igiene riduce il rischi di infezione:

  • prima della preparazione di cibi o dopo il contatto con alimenti crudi, lavarsi accuratamente le mani con acqua e sapone e asciugarle bene.
  • conservare e preparare la carne cruda separatamente dagli altri cibi (frutta e verdura), ad esempio in caso di barbecue usare taglieri, piatti e pinze separati.
  • pulire accuratamente, sciacquare con acqua calda e asciugare le superfici e gli oggetti dopo un contatto con alimenti crudi, i suoi involucri o l’acqua di condensa.
  • lavare accuratamente frutta e verdura crude prima del consumo (possibilmente con acqua calda, strofinandole energicamente per almeno 30 secondi) e, se necessario pelarle.
  • lavare e sbucciare successivamente frutta e verdura, pur non eliminando completamente i germi, riduce la carica batterica e quindi il rischio di infezione.

Come può essere eliminato il batterio?
Il batterio può essere eliminato con il calore della cottura. La temperatura di 70°C al centro dell’alimento deve essere raggiunta e mantenuta per almeno due minuti. Il comune processo di riscaldamento per la produzione di confetture e conserve porta all’inattivazione del batterio; anche nel caso di cetrioli in salamoia, la combinazione di trattamento termico, il basso pH e il contenuto salino costituiscono una sufficiente garanzia.

Fonti

Ministero della Salute
Organizzazione Mondiale della Sanità
Wikipedia
Sicurezza alimenti

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Malattie reumatiche: sono sempre più diffuse, non facili da curare. Ma presto…

Ne soffrono più di cinque milioni di italiani di tutte le età. Sono le malattie reumatiche: non fanno morire, ma non lasciano vivere. E, contrariamente a quanto si pensa comunemente, non sono riservate alle persone anziane, anche perché sotto il nome di reumatismi c’è un’intera classe di malattie che ne comprende più di cento.
Affezioni come l’artrite reumatoide e il Les compaiono verso i 25-30 anni, in particolare nelle donne. E malattie reumatiche possono colpire anche i bambini, per alcune di queste malattie si sospetta perfino una predisposizione genetica. E’ per esempio il caso del lupus e dell’artrite reumatoide. A causarle sarebbe un sistema immunitario che reagisce in maniera abnorme ad alcune infezioni, producendo autoanticorpi che finiscono per attaccare altre cellule dell’organismo. Altre malattie reumatiche, come l’artrosi, possono essere causate dalla sedentarietà: lo scarso movimento provocherebbe una proliferazione anormale delle cellule delle cartilagini e questo a sua volta provocherebbe lesioni e quindi dolore. Sulle malattie reumatiche globalmente si sa poco. Forse è per questo che non sono guaribili. Tuttavia, sono curabili. Oggi infatti non si dice più a un malato reumatico “non c’è più niente da fare”, purché la diagnosi sia corretta e precoce. Se la malattia è curata fin dall’inizio, può essere tenuta a bada, controllandone adeguatamente i sintomi come accade, per esempio, con il diabete o l’ipertensione. E diminuiscono anche le possibilità che negli anni provochi disabilità.

Farmaci e bisturi. Ma verrà il vaccino
Le cure contro i reumi riducono l’infiammazione e il dolore, ma non eliminano le cause, perché queste sono ancora sconosciute. Anche se c’è chi sostiene che l’artrite reumatoide sia dovuta a un virus che innescherebbe a distanza di anni le trasformazioni immunologiche che provocano la malattia.
Ecco i farmaci e le terapie più usati.
Fans (Antiinfiammatori non steroidei). Bloccano l’enzima cicloossigenasi: quello che trasforma l’acido arachidonico in prostaglandine e scatena l’infiammazione. I Fans possono danneggiare reni e stomaco. Nelle malattie autoimmuni si usano derivati del cortisone, che hanno azione antinfiammatoria, e il metotrexate o la ciclofosfamide, che controllano la replicazione cellulare. Hanno però ripercusioni sul midollo osseo, sul fegato e sull’apparato digerente.
Cure termali. Il calore di fango e bagni fa affluire sangue alle parti colpite da artrosi, accelerando la ricostruzione della cartilagine. Nell’iperuricemia, bere acqua aumenta l’attività renale.
Chirurgia. Corregge le forme più gravi di reumatismi, ripristinando la funzione dell’articolazione ed elimina il dolore. Le parti più trattate: tendini di mani e piedi, gomiti, colonna vertebrale. Fisoterapia. Riduce il dolore, migliora l’articolazione e le possibilità di muoverla.
Vaccino. Due le strade che si stanno tentando. Nell’artrite reumatoide aumenta la secrezione di citochine che favoriscono la replicazione delle cellule e stimolano l’infiammazione. Sono stati prodotti in laboratorio anticorpi contro le citochine. Ma devono arrivare solo all’articolazione malata, e non altrove, dove potrebbero avere effetti dannosi. Per il vaccino, le ricerche più progredite riguardano l’artrite reumatoide. L’obiettivo è il DR4, un antigene tipico del corredo genetico di chi contrae la malattia. Si parte dall’ipotesi che solo chi ha il DR4 svilupperà la malattia. Il DR4, sollecitato da alcuni linfociti T, scatena la risposta immunitaria quando nell’organismo è in corso un’infezione. Quando l’infezione scompare la sua azione prosegue e provoca l’artrite reumatoide. Obiettivo della ricerca è quello di creare un vaccino che isoli il DR4, in modo che non possa essere attivato venendo a contatto con i linfociti T.

La diagnosi non ha misteri
Per rivelare un difetto alle cartilagini (artrosi), può bastare una radiografia, ma per una diagnosi esatta delle malattie reumatiche sono essenziali gli esami del sangue. Ecco i principali.
Acido urico. Se la presenza nel sangue aumenta, è probabile che la causa sia la gotta.
Fosfatasi alcalina. La crescita della parte di origine ossea di questo enzima (prodotto anche dal fegato), può indicare la presenza di fratture o del morbo di Paget, malattia che porta alla perdita di elasticità delle ossa e aumenta il rischio di fratture.
Elettroforesi proteica. Rivela il frazionamento delle proteine di origine epatica. Un aumento della frazione alfa1 e alfa2 indica un’infiammazione attiva, mentre la crescita della frazione gamma segnala un’infiammazione cronica.
Ves (velocità di eritrosedimentazione). E’ un indice di infiammazione: se c’è, cresce il fibrinogeno, una sostanza che tiene uniti tra loro i globuli rossi, e favorisce la loro sedimentazione.
Proteina C reattiva. Compare entro poche ore dall’inizio dell’ infiammazione. I risultati di questo esame e del precedente, però, possono indicare tanto una malattia reumatica quanto un forte raffreddore o una carie dentale. Per distinguere, in questi casi si cercano i fattori reumatoidi, autoanticorpi prodotti dalla reazione del sistema immunitario contro la malattia.
Tac e Rnm (tomografia assiale computerizzata e risonanza magnetica nucleare). Permettono di rilevare lesioni anche limitate.
Moc (Mineralometria ossea computerizzata). E’ specifica per le malattie ossee. Appoggiando una sonda registrante sulla pelle in corrispondenza delle vertebre oppure del polso si valuta il tasso di calcio presente nell’osso, e quindi si può stabilire eventuali rischi futuri di fratture

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