Lo spazio tra le persone ha regole e significati precisi.

Il sociologo americano John Gueldner ha osservato le persone che entrano in un ascensore e si è accorto che il modo con cui lo occupano risponde a regole fisse. La prima persona che entra si sistema nell’angolo dove c’è il pannello dei comandi, oppure in uno dei due angoli sul fondo. La seconda occupa l’angolo diagonalmente opposto. La terza e la quarta occupano gli angoli restanti, la quinta si appoggia al centro della parete di fondo. Solo l’ultimo passeggero, non avendo alternative, si pone al centro della cabina. Tra le tante cose che il nostro cervello deve fare in continuazione, c’è anche quella di amministrare lo spazio intorno al nostro corpo. Noi non ce ne accorgiamo, ma avvicinarsi o scostarsi, di poco o di molto da un un’altra persona, oppure da un oggetto, risponde a esigenze precise di tipo biologico e psicologico. La distanza a cui teniamo la fidanzata, il passante che chiede un’informazione, il vicino di ombrellone al mare o quella a cui il capo ufficio tiene i suoi dipendenti quando parla con loro, è sempre la stessa, o varia di poco. E ha un significato preciso: serve a comunicare sensazioni e intenzioni che vengono comprese intuitivamente da tutti. Così, se ci avviciniamo a una persona a distanze inferiori a quelle che queste regole inconsce impongono, immediatamente subentra imbarazzo, disagio. E può perfino scattare una reazione di difesa. Perché imponendogli la nostra vicinanza gli stiamo inviando un messaggio che non si aspetta. Un po’ come se dicessimo “ti amo” al primo passante che incontriamo per strada. Che cosa regola queste distanze? Le norme dell’occupazione dello spazio, spiegano gli esperti, sono comuni non soltanto agli esseri umani, ma anche agli animali. Non a caso la zona cerebrale che le governa si trova nella parte più antica del cervello, quella che ancora li accomuna entrambi.
Leggi ataviche
La logica degli spazi risponde a due leggi ataviche, sviluppatesi insieme all’uomo in milioni di anni di evoluzione: il riflesso di avvicinamento, alle cose vitali o comunque piacevoli, e il riflesso di fuga, da ciò che ci minaccia o ci fa paura, entrambi presenti fin dalla nascita. Sfiorando con i polpastrelli la guancia di un neonato, il bambino sposta automaticamente la testa, portando la bocca verso lo stimolo. Toccando la pianta del piede con una bacchetta, il bambino ritrae immediatamente la gamba: il ginocchio si flette e la coscia si piega sull’anca. Eppure, fino ai due anni, il bambino non ha la nozione di distanza, che acquisisce soltanto quando impara a parlare. Crescendo, questi due riflessi scompaiono da un punto di vista neurologico, ma rimangano sul piano psicologico. Istintivamente andiamo verso ciò che troviamo piacevole oppure portiamo l’oggetto del desiderio verso il nostro corpo, se invece siamo troppo vicini a qualcosa di minaccioso ce ne allontaniamo, oppure allontaniamo l’oggetto aggredendolo: fisicamente o verbalmente.
Attacco e fuga
Negli animali sia che si scelga la via dell’attacco che quella della fuga, la reazione è immediata: brontolii, soffi, il pelo si arruffa, la schiena si inarca, i muscoli si irrigidiscono per spiccare il balzo. Reazioni fisiologiche abbastanza simili a quelle umane: si sbuffa e si brontola contro chi vuole prendere il nostro posto in coda allo sportello postale, si indietreggia di fronte a chi ci opprime dall’alto, ci si irrigidisce come statue tra la folla per non rinunciare al nostro spazio vitale. Ma ci sono molte altre circostanze, meno appariscenti, in cui la distanza assume un significato preciso. Il dirigente che riceve stando seduto dietro una larga scrivania sottolinea la distanza e il rapporto di gerarchia che lo rende superiore all’ospite, anche se l’espressione del suo viso è improntata alla massima disponibilità. Ma se lo spazio attorno a noi è davvero così prezioso, ogni giorno sui vagoni della metropolitana o sull’autobus, dove la distanza tra le persone è ridotta ai minimi termini, dovremmo assistere a continue liti, tensioni, imbarazzi. Perché in realtà ciò accade raramente? In questa situazione “l’altro” non viene vissuto come un individuo, ma come un oggetto, fastidioso finché si vuole, ma sempre oggetto.E’ qualcosa che ci costringe ma non ci aggredisce. “L’altro” diventa un potenziale invasore soltanto quando ci rivolge la parola, cioè si anima. E’ a quel punto che indietreggiamo, o tentiamo di farlo, per guardarlo in faccia e ristabilire le distanze.
Ma chi stabilisce il confine tra il proprio spazio e quello degli altri? Secondo i ricercatori, ogni individuo si sposta portandosi dietro una parte di spazio, una sorta di cilindro invisibile costituito da quattro aree concentriche, nelle quali accetta che qualcuno entri secondo una logica ben precisa: la zona intima, quella personale, quella sociale e quella pubblica.
Area confidenziale
Il suo raggio va da 0 a 45 centimetri. Corrisponde all’incirca alla lunghezza dell’avambraccio. E’ l’area privata degli affetti, nella quale gli altri hanno il permesso di entrare solo in circostanze particolari. In questa zona possiamo anche appoggiare le mani sulle spalle di un altro o intorno ai suoi fianchi. Tra amanti questo spazio si annulla, ma anche gli amici possono avvicinarsi molto, fino ad abbracciarsi. Per gli estranei è una zona pressoché vietata: il rischio è quello di causare fastidio o paura. Basta pensare all’irritazione che si prova sul treno quando si condivide il bracciolo del sedile con uno sconosciuto. Nella zona intima è possibile sentire il respiro di chi ci sta di fronte, percepirne il calore e l’odore della pelle, cogliere le sue emozioni, controllare l’espressione del viso.
Territorio per conoscenti
Il suo raggio va da 45 centimetri a 1,30 metri. Oltre quest’area si esaurisce la nostra capacità immediata di influire sull’ambiente. Si estende infatti fino al punto in cui arriva il nostro braccio teso: se vogliamo andare oltre dobbiamo spostarci o prolungarlo con uno strumento. E’ la distanza che di solito poniamo durante una conversazione con una persona appena conosciuta. Il controllo su ciò che accade nella zona personale viene però applicato anche agli oggetti che rientrano in quest’area: la scrivania, il letto, la poltrona. In particolare, quando si è in auto, lo spazio privato si estende a tutto l’abitacolo. Ecco perché ci si sente in un territorio sicuro, si diventa più affabili e intraprendenti con gli eventuali passeggeri. Non a caso i ragazzi spesso hanno il coraggio di dare il primo bacio proprio in macchina.
Relazioni professionali
Il suo raggio va da 130 a 360 centimetri. In pratica è la somma di due aree personali: possiamo immaginarla come la distanza che intercorre tra due individui, posti frontalmente, con le braccia tese e le dita in contatto. In questa zona si svolgono soprattutto le relazioni professionali. La scrivania di un addetto alla reception di solito viene sistemata a non meno di 2 metri dalla sala d’attesa per evitare ai visitatori di entrare nella zona privata dell’impiegato e di disturbare il suo lavoro. D’altra parte inconsapevolmente ognuno regola la distanza sociale in funzione dello status.
Zona pubblica
E’ l’enorme area posta al di là della zona sociale. Quindi, all’incirca, oltre un raggio di 3 metri e 60 centimetri. Corrisponde allo spazio che di solito si mette tra noi e un individuo o un gruppo che, a prima vista, non sembra avere caratteristiche sociali comuni con noi. Le famiglie che fanno un pic-nic nel parco, i bagnanti sulla spiaggia, i capannelli di amici nella piazza del paese sono tutti esempi di “distanza pubblica”. Quando il luogo è superaffollato e la distanza non può essere rispettata, si delimita il territorio con oggetti personali: asciugamani, zainetti, borse, sedie. Si tratta di una regola non scritta ma, almeno nel mondo occidentale rispettata. Delimitare il territorio è un’esigenza irrinunciabile anche nel mondo animale e coincide con lo spazio necessario per cacciare, riprodursi, decidere se difendere o attaccare. Negli animali da laboratorio è stato verificato un legame stretto tra sovraffollamento e aggressività. Nei topi, tenuti in gabbie che venivano progressivamente riempite, si sono verificate modificazioni biochimiche: le ghiandole endocrine hanno iniziato a produrre una quantità superiore di ormoni dell’aggressività e gli animali sono diventati estremamente violenti, fino al cannibalismo. Per quanto riguarda l’uomo numerosi sociologi hanno più volte ipotizzato una relazione tra l’alta densità abitativa di un quartiere e il suo tasso di criminalità.
Zona di elezione
Oltre che una dimensione fisica e biologica la distanza è una dimensione psicologica, strettamente legata alla personalità. Si sa che gli introversi mantengono distanze maggiori rispetto agli estroversi. Tutti noi abbiamo una zona che spontaneamente privilegiamo. Ci sono persone che riescono a comunicare soltanto nella zona intima o personale, per cui, riducono le distanze anche nelle relazioni di lavoro. C’è invece chi si sente al sicuro soltanto nella zona sociale ed evita di avvicinarsi troppo persino ai familiari. Anche se esiste una zona di elezione, le circostanze spesso ci costringono a spostarci da un’area all’altra.
