Psiche e Soma

Ricette per una vita migliore!

Author: DanieleMD (Page 1 of 116)

” La morte della leonessa. Alle sorgenti della distruzione della donna. ” – Convegno

leonessa

Sabato 9 Marzo 2019, ore 15.00, Castello di Conversano

“Lo spirito della sorgente è immortale. È chiamato il mistero femminile. 
 L’ingresso al mistero del femminile è la radice del cielo e della terra. ”
 Lao Tzu, Tao Te Ching

Uno degli aspetti più affascinanti dell’attuale recupero della nostra perduta eredità è l’immenso contributo dato dalle donne alla civiltà. La “Bella Leonessa”, come Grande Madre e Dea, richiama quei tempi in cui si riteneva che il più alto potere dell’universo fosse quello del femminile, nel dare e nel conservare la vita, e che tale potere fosse incarnato nel corpo della donna: colei che dà la vita, colei che dà forma, che sostiene la vita. Ma accanto a ciò, la nostra società attuale ha ereditato tratti di ciò che avveniva nel Neolitico, dove la società era a dominazione maschile, estremamente violenta. Quel tipo di uomo si manifesta nella nostra società nella voglia di uccidere la sua “bella leonessa”, decretando all’infinito che la donna si deve sottomettere all’uomo, deve stare sotto i suoi piedi. Idealizzare la regola dell’uomo forte, avere poi la paura di denunciare, quando l’uomo forte, che forte non è, si trasforma in barbaro, significa esaltare una mascolinità fatta di predominio e di conquista che predilige la violenza e spesso anche l’uccisione. Le ultime parole della “Bella Leonessa” sono: “Io, leonessa, mi sono avvicinata a te, uomo. E tu, riesci ad avvicinarti a me, senza per questo uccidermi?”.
Scopo del convegno è sia aiutare la donna a prendere consapevolezza e a liberarsi psicologicamente dalle catene di un’esistenza non conforme ai suoi bisogni più autentici, sia approfondire la dinamica della violenza e dell’uccisione della donna. Anche l’uomo non deve sentirsi escluso da questo lavoro di consapevolezza, se vuole iniziare un processo di avvicinamento sia a se stesso che alla donna che ama.
Il convegno è organizzato dal Centro di psicologia per la famiglia “La casa sull’albero” di Bari, e vedrà come relatori: la dr.ssa Nunzia Tarantini, psicologo psicoterapeuta di orientamento junghiano, associato ricercatore dell’Associazione per la Ricerca in Psicologia Analitica (ARPA); la dr.ssa Carmen Donato La Vitola, psicologo psicoterapeuta ad indirizzo psicodinamico, direttore scientifico del Centro di Psicologia per la Famiglia “La Casa sull’Albero” di Bari; il dr. Daniele Aprile, medico psicoterapeuta ad indirizzo psicodinamico, direttore sanitario del “Centro Medico Nuova Città” di Capurso. Inoltre Carmen Boscolo, Giuseppe Chieco, Daniela Diomede, Donatella Greco, Monica Leonetti, Patrizia Rocchitelli, Luigi Stagno, Francesco Rotunno, Francesco Vitale, avvocati, medici, psicoterapeuti ed artisti esperti della tematica del convegno, ci guideranno nell’esplorazione del problema della violenza sulle donne attraverso testi, filmati e opere d’arte collegate al tema del femminile.

L’evento si terrà il 9 Marzo 2019, dalle 15.00 alle 19.30 nella sala convegni del Castello degli Acquaviva d’Aragona in Conversano.
Ingresso libero.

Informazioni: 080 4550079 – www.lamortedellaleonessa.it

“Il trauma del panico, il panico del trauma” – Convegno

the split one2

La parola Panico deriva da Pan, divinità boschereccia dalle corna e dai piedi di capro che col suono della sua zampogna incuteva improvviso e pazzo spavento. Negli attacchi di panico l’ansia invade tutto il corpo, paralizza, toglie il fiato e fa scoppiare il cuore nel petto. L’impossibilità per il nostro Io di trovarne la causa terrorizza ancora di più. Pan attacca le proprie vittime all’improvviso, spesso nell’ora del meriggio, quando il sole è sopra le loro teste, quando l’Io e l’Ombra sono una cosa sola.

Jung ci dice che “la paura è una via legittima da seguire” e che “si va dove si è spaventati”; ci insegna che ciò che ci spaventa può essere ciò che ci salva anche e soprattutto nel caso del sintomo psichico. Spesso gli attacchi di panico costringono le persone sia a confrontarsi con ciò che le terrorizza e le fa soffrire, sia a entrare in contatto con l’inconscio, con l’ignoto, a incontrare la propria Ombra.

In un pomeriggio di inizio estate, impareremo a conoscere e riconoscere il panico; faccia a faccia con il Dio Pan che, suonando come sempre lo zufolo fra l’ombra dei boschi, ci farà seguire il suono di una melodia sfrenata e senza sosta, guidandoci nel regno dell’ombra dove ripararsi dal sole troppo luminoso della coscienza.

Il convegno è organizzato dal centro di psicologia per la famiglia “La casa sull’albero” di Bari, e vedrà come relatori: Nunzia Tarantini, psicologo psicoterapeuta, analista ad orientamento junghiano, associato ricercatore dell’Associazione per la Ricerca in Psicologia Analitica (ARPA); Carmen Donato La Vitola, psicologo psicoterapeuta ad indirizzo psicodinamico; Daniele Aprile, medico psicoterapeuta ad indirizzo psicodinamico. Inoltre Luigi Stagno, Monica Leonetti, Francesco Vitale, Patrizia Rocchitelli, psicoterapeuti esperti delle tematiche del convegno, ci guideranno nella visione e nell’analisi di filmati e opere d’arte collegate al tema del panico.

Info 0804550079 – www.psicologiainfantilebari.it

“L’adolescente traumatizzato fra mito e realtà” – Convegno

Wyeth_death-and-child-1931

L’adolescente traumatizzato fra mito e realtà
storie di dolore, aggressività e violenza

3 Febbraio 2018, ore 15.00 – 19.00
Sala convegni castello angioino di Conversano

Gli adolescenti sono essenzialmente degli isolati che non vogliono essere compresi e chiunque pone loro delle domande deve aspettarsi delle bugie. In questa fase dello sviluppo spesso si manifesta il mostro interiore, frutto del dolore, delle incomprensioni, dei traumi che si sono verificati nella prima infanzia, che, come il “mostro mutaforma” di IT, il più celebre romanzo di Stephen King, prende le sue sembianza dalle più intime paure del singolo ragazzo.

La vicenda adolescenziale si snoda soprattutto nell’appartenenza alla famiglia che ne costituisce la trama funzionale e che è, quindi, il vero «crogiolo» della vita emotiva dell’individuo. Il convegno si focalizzerà sulla famiglia non solo come entità sociologica e psicologica, ma anche come famiglia mitica, archetipica e su come l’amore familiare può dare spazio alla patologia.
L’esplorazione di particolari miti ci darà la possibilità di leggere le trame familiari, e questo ci permetterà di fare esperienza della famiglia come metafora, perché – come dice Hillman – è la famiglia immaginale che va curata. In quale fantasia vive il genitore che maltratta il proprio figlio? Che mito sta attraversando la famiglia in un caso di tossicodipendenza, di anoressia o di bulimia?

Il convegno è organizzato dal centro di psicologia per la famiglia “La casa sull’albero” di Bari, e vedrà come relatori: la prof.ssa Nunzia Tarantini, psicologo psicoterapeuta, analista ad orientamento junghiano, associato ricercatore dell’Associazione per la Ricerca in Psicologia Analitica (ARPA); la dr.ssa Carmen Donato La Vitola, psicologo psicoterapeuta ad indirizzo psicodinamico, direttore scientifico del Centro di Psicologia per la Famiglia “La Casa sull’Albero” di Bari; il dr. Daniele Aprile, medico psicoterapeuta ad indirizzo psicodinamico, direttore sanitario del “Centro Medico Nuova Città” di Capurso.

Il convegno si terrà il 3 Febbraio 2018, dalle 15.00 alle 19.00 nella sala convegni del Castello degli Acquaviva d’Aragona in Conversano.
Ingresso libero.
Informazioni: 080 4550079 – www.psicologiainfantilebari.it

Convegno:” L’adolescente traumatizzato e la sua cura” – 30 Settembre e 1° Ottobre, Castello di Conversano

Adolescente

Convegno:”L’adolescente traumatizzato e la sua cura. Storie di abuso, deprivazione, suicidio, omicidio”
Sala convegni Castello degli Acquaviva d’Aragona – Conversano (Ba)
30 settembre, ore 16-19 – 1 ottobre 2016, ore 10-18
Ingresso libero

Associazione COMUNIONE E’ VITA

La nostra associazione si sta occupando in particolar modo, in questi ultimi anni, delle problematiche dei bambini e degli adolescenti. Nel 2015 abbiamo organizzato a Casamassima il convegno “Esplorando il disagio: il progetto Ars Pueri® ”. In questo evento, fortemente voluto dal Comune di Casamassima e che ha visto la partecipazione di Istituzioni per la protezione del bambino dell’Europa dell’Est, sono stati presentati i risultati degli studi sul disagio infantile e adolescenziale rilevato attraverso il disegno, condotti in scuole di Casamassima. Volendo
approfondire questa bellissima esperienza, promuovere il volontariato in questo campo e sensibilizzare i partecipanti su un fenomeno in crescita tanto da divenire una vera e propria emergenza sociale, la nostra associazione organizza il convegno “L’adolescente traumatizzato e la sua cura. Storie di abuso, deprivazione, suicidio, omicidio”.
Nel Sud-Est barese i casi di adolescenti deprivati e traumatizzati che hanno messo in atto un suicidio hanno subito una notevole impennata. Il suicidio rappresenta anche una perdita devastante per la famiglia, gli amici e la comunità.
Il più importante fattore di rischio per il suicidio rimane la depressione, ma anche altri fattori come i disturbi comportamentali e le dipendenze; inoltre, i problemi familiari, sociali e psicologici sono associati ad un aumentato rischio di suicidio.
Di fronte a violenze, abusi sessuali e maltrattamenti, l’adolescente perde in modo drammatico la certezza su ciò che è bene e ciò che è male, e smarrisce la percezione della propria inviolabilità e del proprio valore.
Il convegno si propone di promuovere la cultura del volontariato nel campo della prevenzione, assistenza e cura dei ragazzi traumatizzati e a rischio di suicidio, di sensibilizzare aspiranti volontari e operatori sociali sulle gravi problematiche psicologiche e psicosomatiche dei ragazzi traumatizzati, sui piu’ importanti fattori di rischio per il suicidio degli adolescenti e sui modelli di intervento per una efficace prevenzione, stimolando un volontariato più consapevole e partecipe.
Come frutto di una intensa e coinvolta partecipazione ai lavori del convegno, inoltre, i partecipanti e, nello specifico, i volontari, i genitori, gli insegnanti e gli operatori socio-assistenziali, avranno un’opportunità ricca di basi scientifiche e cliniche di acquisire una maggiore consapevolezza del mondo dell’adolescente traumatizzato, un mondo popolato di fantasmi terrificanti: caos, rabbie
indicibili, mostri, ricordi terribili e dolorosi. I volontari che lavorano con i ragazzi potranno meglio cogliere i segni di un disagio profondo, fare una più efficace prevenzione, intervenire attraverso validi modelli psicologici. avranno una maggiore consapevolezza del mondo dell’adolescente traumatizzato, saranno informati sui fattori di rischio che possono portare un adolescente al suicidio.
In particolare il convegno sarà centrato sulla:
• conoscenza delle origini dei disturbi psichici del bambino e dell’adolescente;
• conoscenza dei segnali comportamentali, grafici e artistici indicanti un disagio profondo;
• capacità di interpretazione del disagio familiare;
• sviluppo della capacità di individuare il disagio anche attraverso disegni e test specifici;
• conoscenza di modalità di prevenzione e d’intervento;
• maggiore consapevolezza anche dei propri punti di criticità in famiglia, a scuola o sul lavoro.
Sarà uno stimolo all’incremento delle abilità di ascolto ed empatia attraverso la visione della storia di alcuni suicidi, per promuovere un volontariato consapevole e partecipe.
Il convegno si terrà il 30 settembre, dalle 16 alle 19, e il 1° ottobre, dalle 10 alle 18, prossimi, nella sala convegni del Castello degli Acquaviva d’Aragona in Conversano.
Relatore sarà la prof.ssa Nunzia Tarantini, psicologo-psicoterapeuta, analista ad orientamento junghiano, associato ricercatore dell’Associazione per la Ricerca in Psicologia Analitica (ARPA), docente a contratto di “Interpretazione psicodinamica del disegno infantile e adolescenziale” presso lo Psychological Innovations and Research Training Centre (PTMC) dell’Università di Vilnius, Lituania.
Il suo lavoro, svolto da anni, insieme ad un’équipe di psicologi, anche nelle scuole pugliesi, terra dove vive ed esercita privatamente, ha portato all’elaborazione di un modello che supporta l’esperienza clinica con i risultati derivanti  all’interpretazione di migliaia di test grafici e artistici. Sembra difficile, ma in realtà è più facile che giocare con i servizi da parte degli www.elitist-gaming.com.

Convegno “Dal Libro Rosso, un viaggio creativo nella psicologia Junghiana.” Domenica 26 Giugno, Castello di Conversano

Dal libro rosso

“DAL LIBRO ROSSO, UN VIAGGIO CREATIVO NELLA PSICOLOGIA JUNGHIANA”
Castello degli Acquaviva d’Aragona di Conversano, Domenica 26 Giugno, dalle 10:00 alle 16:30
Ingresso libero, con prenotazione www.dallibrorosso.it

Il 26 Giugno presso il castello Angioino di Conversano alcuni dei più noti analisti junghiani (CIPA, ARPA E IAAP) ci guideranno in un viaggio creativo partendo dal Libro Rosso di Carl Gustav Jung.
Il convegno è stato curato da Nunzia Tarantini e Wilma Scategni, professioniste con consolidata esperienza clinica e da anni impegnate nella divulgazione scientifica della psicologia analitica.

Sul sito ufficiale del convegno www.dallibrorosso.it è disponibile il programma completo, oltre al modulo di registrazione, e tutte le informazioni utili sull’evento.

Convegno “Amore sano e Amore Malato nelle varie stagioni della vita” – Castello Angioino, Mola di Bari, sabato 14 Maggio 2016

20160411 WEB 500x350px asam FINALE

AMORE SANO E AMORE MALATO NELLE VARIE STAGIONI DELLA VITA
Castello Angioino, Mola di Bari, sabato 14 Maggio 2016, ore 9:30 – 19:00.

Amore sano e amore malato nelle varie stagioni della vita” è un evento organizzato dalla cooperativa Nuova Città Scs, con il coordinamento scientifico della prof.ssa Nunzia Tarantini, psicologo psicoterapeuta di orientamento junghiano, ricercatore dell’Associazione per la Ricerca in Psicologia Analitica (ARPA), docente a contratto presso lo Psychological Innovations and Research Training Centre (PTMC) dell’Università di Vilnius, Lituania.
Il convegno, che si svolgerà il 14 Maggio 2016 nella suggestiva cornice del Castello Angioino di Mola di Bari, è il cuore dell’evento ed è stato accreditato dal provider Motus Animi Sas con 10 crediti ECM per le figure professionali di psicologo, psicoterapeuta, psichiatra, infermiere pediatrico, educatore professionale (codice di riferimento RES n. 2112-16009).
Che cos’è l’amore? Sappiamo davvero rispondere a questa domanda?
Di sicuro sappiamo che ne hanno scritto poeti, filosofi, pensatori, l’hanno rappresentato artisti e scultori, e tutti si sono sforzati di comprenderne l’essenza.
“Amore” è parola usata e abusata, e non esiste attività umana in cui questo vocabolo non venga utilizzato, talvolta sfruttato e spremuto fino in fondo. Amore è il sentimento che si prova per il prossimo, per se stessi, per un amico, per l’umanità nel suo complesso, per la casa, per tutto ciò che è bello e buono. Lo si usa per denominare un attaccamento affettivo particolarmente forte che unisce un uomo ad una donna, o un bambino ad un genitore, così come l’infatuazione di due giovani, di due adulti, di due anziani. Ovunque vi sia un sentimento forte ed elevato, una spinta energetica all’azione, una volontà d’essere fino in fondo, lì c’è amore.
L’amore però, come tutti i sentimenti, è spesso un gioco di opposti: dà origine a tendenze opposte, pronte, se non dialogate, ad irrompere nelle nostre vite e a catapultarci da un amore che muove entusiasmo, ardenti desideri e perfino estasi, in un “amore alla rovescia” che genera disillusione, perdita, fallimento, angoscia, lutto, morte. Ed è così che per amore un bambino piange quando l’amata madre è assente. Per amore si soffre, perdere un amore può far impazzire o uccidere
Il convegno indagherà su come si può intercettare in questo tipo di legame un segno di salute o di malattia, su come tale legame possa sfociare in una timorosa ritirata dal mondo oppure in uno sforzo per espanderlo, e su quanto esso possa essere consapevole o terribilmente inconsapevole. Non si tratterà di definire semplicisticamente ciò che è sano e ciò che è malato in amore – sarebbe forse una ingiustificabile presunzione – ma di mostrare come l’amore si situa su una drammatica linea di confine, un confine che da una parte si affaccia sull’abbagliante e meravigliosa energia di vita, e dall’altra sull’agghiacciante e caotica energia distruttiva.
Relatori, oltre alla già citata prof.ssa Nunzia Tarantini, la dr.ssa Carmen Donato La Vitola, psicologo psicoterapeuta, direttore del centro di psicoterapia per la famiglia “La casa sull’albero”, e il dr. Daniele Aprile, medico psicoterapeuta, direttore sanitario del Poliambulatorio Sociale. Saranno inoltre presenti artisti italiani, lituani, russi e ungheresi che con le loro espressioni culturali e artistiche si confronteranno con il tema del convegno usando il proprio personale linguaggio, intrecciandosi con le relazioni scientifiche in una reciproca contaminazione.
Sul sito ufficiale del convegno www.amoresanoamoremalato.it è disponibile il programma completo, oltre al modulo di iscrizione, e tutte le informazioni utili sull’evento.
Contatti: tel. 080 4550079, info@amoresanoamoremalato.it.

Probabilmente non hai bisogno dell’esame della vitamina D.

esame vit d

I venditori di integratori vitaminici amano dire che tutti sono carenti di vitamina D, compreso te. Forse questo è il motivo dell’incremento esponenziale che ha avuto negli ultimi anni il dosaggio della vitamina D, se negli ultimi due anni avete avuto una prescrizione per gli esami del sangue molto probabilmente il vostro medico vi avrà richiesto anche il dosaggio della vitamina D. Potrebbe essere facile verificare l’affermazione dei venditori di integratori: basta fare un esame del sangue per vedere se i livelli sono bassi… ma non è così semplice.
La vitamina D può essere assimilata con la dieta, o può essere formata dalla pelle sufficientemente esposta al sole, è fondamentale per la salute delle ossa, dal momento che la vitamina D dice al corpo di assorbire il calcio proveniente dall’alimentazione, e le persone con carenza di vitamina D hanno molte probabilità di sviluppare problemi di salute.
Quindi lo screening per carenza di vitamina D potrebbe suonare come una buona idea.

L’anno scorso una task force del Servizio di Prevenzione degli Stati Uniti ha considerato il problema e ha concluso non c’erano prove sufficienti per dire se il test è utile. Gli scienziati non sono d’accordo su quale livello dovrebbe essere considerato “basso”, e non c’è alcuna prova che l’assunzione di integratori di vitamina vi farà bene.
Come il New York Times ha riassunto:
C’è dibattito sul fatto se i bassi livelli di questa vitamina sono una causa diretta della malattia, o semplicemente un indicatore di comportamenti che contribuiscono a problemi di salute, come il fumo, la cattiva alimentazione e la sedentarietà.
La task force federale ha emesso una serie di raccomandazioni sulla base di una revisione delle prove di più di una dozzina di studi che hanno valutato gli effetti del trattamento vitamina D negli adulti sani. Gli studi hanno utilizzato dosi di vitamina D3 che vanno da 400 a 4.800 unità internazionali al giorno, e sono durati da due mesi a sette anni.
La task force ha concluso che le prove correnti erano “insufficienti per determinare il saldo netto dei benefici e dei danni dello screening e il trattamento precoce della carenza di vitamina D in adulti sani”.
Il dr. Owens ha detto che la commissione ha evidenziato dei potenziali problemi con lo screening. Le prove possono diagnosticare come carenti persone che in realtà non lo sono: ad esempio, i test degli afro-americani hanno bassi livelli di vitamina D, il che porta a falsi positivi.

Invece dello screening diffuso, la task force raccomanda un approccio più personalizzato: se pensi di avere davvero una carenza di vitamina, parlarne con il tuo medico, che può raccomandare un test, ma lo porterà nel contesto con altre informazioni sulla tua salute.

Come riporta my-personaltrainer.it la carenza di vitamina D può svilupparsi per svariate ragioni, riconducibili a:

  • insufficiente apporto alimentare;
  • inadeguata esposizione al sole (in particolare ai raggi UVB), che a sua volta può dipendere da: ridotta attività fisica all’aria aperta; aumentata distanza dall’equatore; pelle scura; eccessivo uso di creme solari (una crema solare con protezione 15 blocca circa il 99% della produzione cutanea di vitamina D);
  • aumentato fabbisogno;
  • alterato assorbimento intestinale;
  • condizioni – come le malattie epatiche o renali – che compromettono la conversione della vitamina D nella sua forma attiva.

Aumentano il rischio di carenze di vitamina D anche:

  • fumo di sigaretta (alterato metabolismo);
  • età avanzata (per la minor efficienza produttiva cutanea);
  • obesità (ridotta biodisponibilità di vitamina, sequestrata nel grasso);
  • assunzione di farmaci che accelerano il metabolismo della vitamina D attiva, come anticonvulsivanti, corticosteroidi, farmaci antirigetto e antivirali.

La manutenzione della colonna vertebrale.

La manutenzione si fa così: molto moto, mangiare sano. E occhio agli zaini pesanti

Per rimanere efficiente, la colonna vertebrale deve lavorare, cioè muoversi. Quando è sottoposta a uno sforzo prolungato, infatti, anche se non intenso, si generano correnti elettriche che stimolano la creazione di nuovo tessuto osseo. La scarsità di moto, o addirittura l’immobilismo, può provocare invece osteoporosi. Vale a dire fragilità delle ossa. Se si è costretti a rimanere immobili per più giorni, l’organismo preleva il calcio dalle ossa per utilizzarlo dove è più necessario, come accade durante le malattie prolungate.
Quali altre regole occorre osservare per mantenerla in forma?

Recupero limitato.
Il lavoro fa bene alla colonna vertebrale ma, in certi casi, può anche danneggiarla. Succede quando la si sottopone a sforzi prolungati per lungo tempo. I dischi intervertebrali si accorciano di giorno per la perdita di liquido che poi recuperano di notte, allungandosi, ma se il recupero non è sufficiente, i dischi non riacquistano le dimensioni normali, le vertebre si avvicinano l’una all’altra, si riducono le possibilità di movimento reciproco e la conseguenza è l’artrosi.

Attenti al calcio.
Il latte e i suoi derivati sono la migliore fonte naturale per rifornire di calcio l’organismo, indispensabile soprattutto nelle prime fasi della vita e nelle donne. Per queste ultime, infatti, il rischio di osteoporosi dopo la menopausa dipende dalla quantità di calcio assorbita tra i 25 e i 30 anni di età.
Le verdure inoltre sono una preziosa fonte di calcio, seconda per importanza soltanto ai latticini e, a differenza di questi, sono totalmente “sicuri”. Tra i vegetali più ricchi di calcio ricordiamo gli agretti, le verdure a foglia verde (cicoria catalogna, cime di rapa, rucola e lattuga), i broccoli, il sedano da costa, il finocchio, i cavoli ed i porri. La salvia, con i suoi 600 mg di calcio per 100 grammi, rappresenta uno dei vegetali più ricchi di questo elemento; come tale, risulta un aromatizzante particolarmente prezioso per aumentare l’apporto quotidiano di calcio, specie se utilizzato al posto del sale. L’eccesso di sodio, infatti, tende ad impoverire le ossa di calcio, predisponendole allo sviluppo dell’osteoporosi. Anche il caffè, gli alcolici, il fumo, una dieta decisamente iperproteica e il ridotto consumo di verdure, sono fattori potenzialmente responsabili di carenze calciche.
L’importanza delle verdure ricche di calcio nella dieta è particolarmente rilevante nell’alimentazione delle persone intolleranti al lattosio. Questi individui, considerata la carenza di lattasi, sono infatti costretti ad allontanare in maniera più o meno drastica gli alimenti ricchi di lattosio dalla propria dieta. Di conseguenza, privandosi di latte e latticini (anche se lo yogurt e i formaggi a pasta dura sono generalmente ben tollerati), nel lungo periodo è possibile sviluppare carenze di calcio. Analogo discorso per i vegani.

Peso eccessivo.
La colonna vertebrale non dovrebbe essere costretta a portare un peso superiore alle sue capacità: né pesi eccessivi, né corpi troppo appesantiti. Recenti indagini mediche condotte in diverse città hanno invece dimostrato che, sia pure con percentuali variabili, gran parte dei bambini italiani è in eccesso di peso. Questo è dovuto a un’alimentazione scorretta, sia per il tipo di alimenti (abbondanza di cibi ad alto contenuto di calorie e poca verdura e frutta), sia per il modo disordinato di alimentarsi. La conseguenza è che il peso supera i limiti normali e la schiena deve fare sforzi maggiori per “reggerlo”. Altrettanto dannosi, soprattutto per i bambini, possono essere i cosiddetti “carichi scolastici”: zaini e cartelle. Soprattutto fino all’età della scuola media, cioè fino a quando la spina dorsale è ancora debole, è meglio limitare al massimo il loro peso. Ma bisogna anche fare attenzione al modo con cui il peso viene sistemato sulla schiena. Lo zaino è preferibile perché permette di distribuire il peso su entrambe le spalle, ma occorre che all’interno libri e quaderni siano sistemati in modo da non “tirare” di più da un lato. Le cartelle o le borse che si portano appese a una sola spalla sono meno indicate, perché tendono a gravare su un solo lato del corpo, rischiando di provocare asimmetrie nella colonna vertebrale.

Mezzi di difesa.
Il metodo più sicuro per prevenire i danni alla colonna è di svolgere una corretta e regolare attività fisica. Gli sport più adatti sono la ginnastica, il nuoto e la pallacanestro, perché permettono di sviluppare in modo regolare tutti i fasci muscolari della schiena. Ma, in generale, tutti gli sport hanno effetti positivi, esclusi quelli asimmetrici, come il tennis, che tendono a esasperare il lavoro di metà del corpo, lasciando inattiva l’altra. In questi casi, per evitare il rischio di sbilanciamenti nello sviluppo muscolare, è bene far precedere allo sport un periodo di ginnastica per mantenere in attività tutti i fasci muscolari. La colonna vertebrale, infine, si difende anche a letto. E’ meglio non dormire sul ventre, perché il collo, e quindi le vertebre cervicali, sono obbligati a stare in posizione innaturale. E’ bene anche che il materasso sia abbastanza rigido.

firma.png

Manteniamo le distanze…

Lo spazio tra le persone ha regole e significati precisi.

Il sociologo americano John Gueldner ha osservato le persone che entrano in un ascensore e si è accorto che il modo con cui lo occupano risponde a regole fisse. La prima persona che entra  si sistema nell’angolo dove c’è il pannello dei comandi, oppure in uno dei due angoli sul fondo. La seconda occupa l’angolo diagonalmente opposto. La terza e la quarta occupano gli angoli restanti, la quinta si appoggia al centro della parete di fondo. Solo l’ultimo passeggero, non avendo alternative, si pone al centro della cabina. Tra le tante cose che il nostro cervello deve fare in continuazione, c’è anche quella di amministrare lo spazio intorno al nostro corpo. Noi non ce ne accorgiamo, ma avvicinarsi o scostarsi, di poco o di molto da un un’altra persona, oppure da un oggetto, risponde a esigenze precise di tipo biologico e psicologico. La distanza a cui teniamo la fidanzata, il passante che chiede un’informazione, il vicino di ombrellone al mare o quella a cui il capo ufficio tiene i suoi dipendenti quando parla con loro, è sempre la stessa, o varia di poco. E ha un significato preciso: serve a comunicare sensazioni e intenzioni che vengono comprese intuitivamente da tutti. Così, se ci avviciniamo a una persona a distanze inferiori a quelle che queste regole inconsce impongono, immediatamente subentra imbarazzo, disagio. E può perfino scattare una reazione di difesa. Perché imponendogli la nostra vicinanza gli stiamo inviando un messaggio che non si aspetta. Un po’ come se dicessimo “ti amo” al primo passante che incontriamo per strada. Che cosa regola queste distanze? Le norme dell’occupazione dello spazio, spiegano gli esperti, sono comuni non soltanto agli esseri umani, ma anche agli animali. Non a caso la zona cerebrale che le governa si trova nella parte più antica del cervello, quella che ancora li accomuna entrambi.

Leggi ataviche
La logica degli spazi risponde a due leggi ataviche, sviluppatesi insieme all’uomo in milioni di anni di evoluzione: il riflesso di avvicinamento, alle cose vitali o comunque piacevoli, e il riflesso di fuga, da ciò che ci minaccia o ci fa paura, entrambi presenti fin dalla nascita. Sfiorando con i polpastrelli la guancia di un neonato, il bambino sposta automaticamente la testa, portando la bocca verso lo stimolo. Toccando la pianta del piede con una bacchetta, il bambino ritrae immediatamente la gamba: il ginocchio si flette e la coscia si piega sull’anca. Eppure, fino ai due anni, il bambino non ha la nozione di distanza, che acquisisce soltanto quando impara a parlare. Crescendo, questi due riflessi scompaiono da un punto di vista neurologico, ma rimangano sul piano psicologico. Istintivamente andiamo verso ciò che troviamo piacevole oppure portiamo l’oggetto del desiderio verso il nostro corpo, se invece siamo troppo vicini a qualcosa di minaccioso ce ne allontaniamo, oppure allontaniamo l’oggetto aggredendolo: fisicamente o verbalmente.

Attacco e fuga
Negli animali sia che si scelga la via dell’attacco che quella della fuga, la reazione è immediata: brontolii, soffi, il pelo si arruffa, la schiena si inarca, i muscoli si irrigidiscono per spiccare il balzo. Reazioni fisiologiche abbastanza simili a quelle umane: si sbuffa e si brontola contro chi vuole prendere il nostro posto in coda allo sportello postale, si indietreggia di fronte a chi ci opprime dall’alto, ci si irrigidisce come statue tra la folla per non rinunciare al nostro spazio vitale. Ma ci sono molte altre circostanze, meno appariscenti, in cui la distanza assume un significato preciso. Il dirigente che riceve stando seduto dietro una larga scrivania sottolinea la distanza e il rapporto di gerarchia che lo rende superiore all’ospite, anche se l’espressione del suo viso è improntata alla massima disponibilità.  Ma se lo spazio attorno a noi è davvero così prezioso, ogni giorno sui vagoni della metropolitana o sull’autobus, dove la distanza tra le persone è ridotta ai minimi termini, dovremmo assistere a continue liti, tensioni, imbarazzi. Perché in realtà ciò accade raramente? In questa situazione “l’altro” non viene vissuto come un individuo, ma come un oggetto, fastidioso finché si vuole, ma sempre oggetto.E’ qualcosa che ci costringe ma non ci aggredisce. “L’altro” diventa un potenziale invasore soltanto quando ci rivolge la parola, cioè si anima. E’ a quel punto che indietreggiamo, o tentiamo di farlo, per guardarlo in faccia e ristabilire le distanze.
Ma chi stabilisce il confine tra il proprio spazio e quello degli altri? Secondo i ricercatori, ogni individuo si sposta portandosi dietro una parte di spazio, una sorta di cilindro invisibile costituito da quattro aree concentriche, nelle quali accetta che qualcuno entri secondo una logica ben precisa: la zona intima, quella personale, quella sociale e quella pubblica.

Area confidenziale
Il suo raggio va da 0 a 45 centimetri. Corrisponde all’incirca alla lunghezza dell’avambraccio. E’ l’area privata degli affetti, nella quale gli altri hanno il permesso di entrare solo in circostanze particolari. In questa zona possiamo anche appoggiare le mani sulle spalle di un altro o intorno ai suoi fianchi. Tra amanti questo spazio si annulla, ma anche gli amici possono avvicinarsi molto, fino ad abbracciarsi. Per gli estranei è una zona pressoché vietata: il rischio è quello di causare fastidio o paura. Basta pensare all’irritazione che si prova sul treno quando si condivide il bracciolo del sedile con uno sconosciuto. Nella zona intima è possibile sentire il respiro di chi ci sta di fronte, percepirne il calore e l’odore della pelle, cogliere le sue emozioni, controllare l’espressione del viso.

Territorio per conoscenti
Il suo raggio va da 45 centimetri a 1,30 metri. Oltre quest’area si esaurisce la nostra capacità immediata di influire sull’ambiente. Si estende infatti fino al punto in cui arriva il nostro braccio teso: se vogliamo andare oltre dobbiamo spostarci o prolungarlo con uno strumento. E’ la distanza che di solito poniamo durante una conversazione con una persona appena conosciuta. Il controllo su ciò che accade nella zona personale viene però applicato anche agli oggetti che rientrano in quest’area: la scrivania, il letto, la poltrona. In particolare, quando si è in auto, lo spazio privato si estende a tutto l’abitacolo. Ecco perché ci si sente in un territorio sicuro, si diventa più affabili e intraprendenti con gli eventuali passeggeri. Non a caso i ragazzi spesso hanno il coraggio di dare il primo bacio proprio in macchina.

Relazioni professionali
Il suo raggio va da 130 a 360 centimetri. In pratica è la somma di due aree personali: possiamo immaginarla come la distanza che intercorre tra due individui, posti frontalmente, con le braccia tese e le dita in contatto. In questa zona si svolgono soprattutto le relazioni professionali. La scrivania di un addetto alla reception di solito viene sistemata a non meno di 2 metri dalla sala d’attesa per evitare ai visitatori di entrare nella zona privata dell’impiegato e di disturbare il suo lavoro. D’altra parte inconsapevolmente ognuno regola la distanza sociale in funzione dello status.

Zona pubblica
E’ l’enorme area posta al di là della zona sociale. Quindi, all’incirca, oltre un raggio di 3 metri e 60 centimetri. Corrisponde allo spazio che di solito si mette tra noi e un individuo o un gruppo che, a prima vista, non sembra avere caratteristiche sociali comuni con noi. Le famiglie che fanno un pic-nic nel parco, i bagnanti sulla spiaggia, i capannelli di amici nella piazza del paese sono tutti esempi di “distanza pubblica”. Quando il luogo è superaffollato e la distanza non può essere rispettata, si delimita il territorio con oggetti personali: asciugamani, zainetti, borse, sedie. Si tratta di una regola non scritta ma, almeno nel mondo occidentale rispettata. Delimitare il territorio è un’esigenza irrinunciabile anche nel mondo animale e coincide con lo spazio necessario per cacciare, riprodursi, decidere se difendere o attaccare. Negli animali da laboratorio è stato verificato un legame stretto tra sovraffollamento e aggressività. Nei topi, tenuti in gabbie che venivano progressivamente riempite, si sono verificate modificazioni biochimiche: le ghiandole endocrine hanno iniziato a produrre una quantità superiore di ormoni dell’aggressività e gli animali sono diventati estremamente violenti, fino al cannibalismo. Per quanto riguarda l’uomo numerosi sociologi hanno più volte ipotizzato una relazione tra l’alta densità abitativa di un quartiere e il suo tasso di criminalità.

Zona di elezione
Oltre che una dimensione fisica e biologica la distanza è una dimensione psicologica, strettamente legata alla personalità. Si sa che gli introversi mantengono distanze maggiori rispetto agli estroversi. Tutti noi abbiamo una zona che spontaneamente privilegiamo. Ci sono persone che riescono a comunicare soltanto nella zona intima o personale, per cui, riducono le distanze anche nelle relazioni di lavoro. C’è invece chi si sente al sicuro soltanto nella zona sociale ed evita di avvicinarsi troppo persino ai familiari. Anche se esiste una zona di elezione, le circostanze spesso ci costringono a spostarci da un’area all’altra.

firma.png

Il corpo? Non sa dir bugie.

Soltanto il sette per cento dei nostri messaggi è fatto di voce. Il resto lo diciamo con le gambe, le braccia, e perfino con il naso.

Quanto sono importanti le parole nella comunicazione? Non molto. Secondo una recente ricerca la comunicazione verbale ha un peso minimo nel bilancio dei rapporti sociali: appena il sette per cento, tutto il resto è affidato al linguaggio del corpo, un alfabeto infinito di gesti, sguardi, smorfie, posture, contrazioni muscolari talvolta impercettibili. Immobile o in movimento, il corpo è una continua fabbrica di segnali. Un certo modo di accavallare le gambe o di stringere la mano, uno scatto in avanti o un’occhiata possono rivelare molto più che qualche ora di colloquio.
Esistono piccoli movimenti, apparentemente irrilevanti che in realtà esprimono esattamente lo stato d’animo del momento. Un signore legge tranquillamente il suo giornale mentre attende di essere ricevuto per un importante colloquio di lavoro, e intanto allaccia e slaccia in continuazione l’ultimo bottone della giacca. Il suo abbigliamento è perfettamente in ordine, quindi la sua attività automatica non rientra nel quadro delle azioni del “sistemarsi” per apparire in ordine. Questo signore sta semplicemente indulgendo a quella che gli esperti di comunicazione chiamano attività dislocata, tutti quei gesti “inutili” che riflettono un momento di frustrazione o di conflitto interiore. Insomma, quel gesto irrequieto significa ansia. Tutte le attività dislocate rivelano agli altri i nostri impulsi frustrati e diventano così importanti segnali sociali. Ci sono casi in cui i gesti dislocati sono talmente ben mimetizzati che possono passare quasi inosservati. Durante una festa è molto frequente vedere persone che allentano la tensione sorseggiando una bibita senza avere sete o piluccando dal buffet anche se non hanno il minimo appetito. C’è anche chi sviluppa abitudini personali di dislocazione: far tintinnare le chiavi in tasca, sistemarsi i capelli, pulire gli occhiali col fazzoletto.

Fughe di notizie
Chi non cede a questi piccoli gesti di debolezza rappresenta l’eccezione, cioè non è sfiorato dal conflitto. Può essere una persona socialmente dominante, un asceta, un eccentrico, ma anche uno psicotico. Ma la maggior parte degli esseri umani ogni giorno ricorre alla dislocazione per superare lo stress dovuto a pulsioni contraddittorie: si vorrebbe essere lì e contemporaneamente da tutt’altra parte, dire una cosa e allo stesso tempo tacerla, isolarsi dagli altri e socializzare. Nella vita di relazione spesso cerchiamo di nascondere le nostre vere emozioni, ma spesso la mimica contraddice la parola facendoci dire la verità anche quando vogliamo nasconderla. Si verifica cioè una “fuga non verbale di notizie”. Naturalmente ciò che sta dietro una fuga di informazioni non verbali non è sempre una bugia. Talvolta è semplicemente la spia di un conflitto in cui pensiero e azione non coincidono, ma è sempre un modo per “raggirare” l’interlocutore, come quando, per opportunità, fingiamo interesse durante una discussione. Ma è proprio impossibile mentire bene imparando a dominare il corpo? Ci sono zone del corpo più facili di altre da controllare, dicono gli esperti. Il viso è in assoluto la parte che sa mentire meglio perché, chi più chi meno, siamo tutti in grado di gestire la mimica facciale a seconda della circostanza. Gli indizi più utili per scoprire se una persona sta mentendo arrivano dalle mani: o si muovono troppo, a causa della tensione, o troppo poco, perché, coscienti della possibilità di lasciar passare segnali rivelatori, tendiamo a “imprigionarle”, mettendole in tasca o stringendole l’una all’altra. Infine, occhio alle gambe e ai piedi: è la parte del corpo di cui siamo meno consapevoli e dalla quale deriva quindi la maggior fuga di informazioni. Spostamenti repentini dei piedi, calci dati all’aria, gambe rigide che contraddicono i segnali amichevoli o trattenuti delle mani. Il modo migliore per ingannare, dunque, è limitare i messaggi alle parole e alle espressioni del viso, ma siccome immobilizzare il resto del corpo risulterebbe ancora più inverosimile, il consiglio è di mentire esclusivamente quando il fisico è impegnato in un’attività che non consente distrazioni: mentre si parcheggia l’automobile, si sistemano dei documenti sullo scaffale più alto, o si fa sport.

Come si scopre l’inganno
Negli Usa sono stati realizzati molti esperimenti per scoprire quali sono le chiavi che permettono di smascherare un “bugiardo”. Uno dei più interessanti vede protagoniste un gruppo di allieve infermiere alle quali fu chiesto di descrivere ciò che avevano visto in una serie di filmati (interventi chirurgici particolarmente cruenti o scene piacevoli), a volte mentendo e a volte dicendo la verità. Fu chiesto loro di mentire bene per poter valutare la capacità di convincere un malato che un certo intervento chirurgico, particolarmente rischioso, era in realtà del tutto sicuro oppure di rassicurare un paziente ansioso tenendo conto del fatto che quest’ultimo avrebbe potuto scoprire l’inganno al minimo segnale contraddittorio non verbale. Ogni loro gesto venne registrato da alcune telecamere nascoste e studiato attentamente. Risultò che anche le migliori bugiarde non erano in grado di controllare totalmente la comunicazione non verbale. Innanzitutto, evitavano di sottolineare gesticolando parti del discorso che avrebbero dovuto enfatizzare. Tutti sappiamo infatti che basta un tremolio o una tensione delle mani per tradirci. Si toccavano il viso molto più spesso di quanto non accada normalmente. Tra i gesti preferiti, in assoluto: quello di sfregarsi il naso e coprirsi la bocca. Il secondo, da un lato indica la volontà di nascondere un’espressione sincera e che potrebbe smascherarci, dall’altro esprime il desiderio inconscio di imbavagliarsi per bloccare la bugia che sta uscendo.

Come Pinocchio
Anche il gesto di toccarsi il naso ha una duplice spiegazione: la mano si alza per chiudere la bocca, ma il cervello devia la mano per evitare che avvenga ed è sul naso che finisce per ricadere l’azione. Non basta. Il disagio, causato dall’ambiguità della situazione, produce una serie di piccoli mutamenti fisiologici, la mucosa delle narici diventa più sensibile, provocando una sensazione di lieve prurito, quasi impercettibile, ma sufficiente a far sì che il naso attiri la mano. Benché le infermiere fossero sedute si muovevano molto, proprio come chi vorrebbe scappare, ma non può. E infine mostravano delle microespressioni facciali simili, ma non identiche, a quelle associate alle verità. Movimenti dei muscoli appena accennati e che non duravano più di una frazione di secondo. Come se la faccia, per un attimo, si rifiutasse di mentire, l’intenzione però fosse immediatamente bloccata da un contrordine che le comandava di adeguarsi.

I segnali contraddittori
A volte, anche se siamo sinceri, il corpo invia segnali che possono confondere chi ci sta di fronte. Immaginiamo una scena come questa: all’uscita di una discoteca c’è una banda di teppisti, uno di loro rivolge pesanti apprezzamenti a una ragazza. Il suo fidanzato reagisce ma è in preda a desideri opposti: la paura, che vorrebbe farlo scappare, e l’aggressività, che lo spinge all’attacco. Ne deriva un atteggiamento ambiguo: il corpo assume una postura falsamente minacciosa (a esempio, anziché affrontarlo, si sposta di lato rispetto all’aggressore) ma l’espressione del viso è autenticamente aggressiva. Entrambe le azioni sono sincere perché riflettono emozioni davvero sentite anche se opposte. Per decidere come reagire, il teppista deve valutarle entrambe e capire qual è dettata dall’impulso più forte. Ma esistono situazioni difficili da interpretare. Come dovrebbe comportarsi il giovanotto di fronte al sorriso invitante di una ragazza che però tamburella nervosamente con le dita sul banco del bar? Il primo segnale dice: «possiamo fare amicizia», ma le mani avvertono «stai alla larga ». Quale delle due azioni è autentica? Probabilmente la ragazza mostra un sorriso di circostanza ma vuole essere lasciata in pace.

Fingersi bambine
E c’è, infine, un’altra strategia per confondere il prossimo. Consiste nel ricorrere alle cosiddette azioni “rimotivanti”: voglio che tu smetta un certo atteggiamento, quindi cerco di indurne in te un altro. Il funzionamento si basa sul fatto che due emozioni ad alta intensità si sopprimono a vicenda. La più comune azione rimotivante negli adulti è quella a cui ricorrono le donne di fronte a certi comportamenti aggressivi maschili: giocano a fare le bambine per suscitare nel maschio un atteggiamento paterno, un modo per trasformarlo da compagno critico a “papà” tenero e protettivo.

firma.png

Page 1 of 116

Powered by WordPress & Theme by Anders Norén