Lo scatto fulmineo non è una questione di nervi, ma di esperienza.
E’ la rivincita del sedentario sull’atleta. Nel laboratorio di ricerche sullo sport dell’università di Grenoble hanno messo schermidori provetti e persone comuni davanti allo stesso apparecchio: un interruttore da spegnere allo scoccare di un lampo. I tempi di reazione sono stati pressoché uguali per tutti: da 110 a 130 millisecondi. Per tempo di reazione si intende quello che passa tra l’inizio del segnale e l’inizio della risposta. «Gli sportivi non sono stati più veloci degli altri», raccontano i ricercatori che hanno condotto l’esperimento. Un’eccezione? Niente di strano: i riflessi sono una naturale reazione dell’organismo a una stimolazione del sistema nervoso: una risposta automatica. I sensi, come gli occhi o le orecchie, colgono il segnale e lo trasmettono sotto forma di impulso nervoso al midollo spinale. Da qui arriva al cervello, che lo interpreta e lo invia di nuovo alla periferia con un messaggio preciso: reagire. A quale velocità? Fino a 120 metri al secondo nelle fibre mieliniche, quelle che controllano i muscoli scheletrici, a meno di 5 metri al secondo nelle altre. Velocità uguali per tutti. In altre parole, essere sportivi non è una garanzia di velocità e di prontezza di riflessi sempre e in tutte le circostanze: se un pedone compare all’improvviso davanti all’auto, tutti hanno le stesse possibilità di evitarlo. Ma allora, perché il centometrista scatta solo 130 millesimi di secondo dopo lo “start”, mentre una persona normale ha bisogno di almeno un secondo? Perché un bravo portiere riesce in 0,3 secondi a fermare la palla del rigore, mentre uno qualsiasi non ha nessuna probabilità di riuscirci? Le ragioni sono altre e diverse e solo il perfetto equilibrio tra di esse consente di ottenere i migliori risultati.
1. La motivazione.
La velocità dipende dalla concentrazione e dalla carica emotiva. «Se dalla mia reazione dipendono le sorti della squadra, se voglio battere un record, se la conquista di quella medaglia è il sogno della mia vita, la mia attenzione sarà totalmente concentrata su ciò che sto facendo », spiega Marco Camozzini, insegnante di educazione fisica (Isef), esperto in scienze motorie. La tensione stimola le ghiandole surrenali a produrre cortisolo e adrenalina, ormoni che “attrezzano” l’organismo alla reazione: aumentano il ritmo respiratorio e le pulsazioni cardiache. E i muscoli vengono irrorati maggiormente di ossigeno dal sangue. Se l’ansia da prestazione è eccessiva, invece, rallentano i tempi di reazione: infatti, gli ormoni prodotti in eccesso, “intasano” le fibre muscolari, rallentando la capacità di risposta.
2. L’allenamento.
E’ necessario che l’apparato locomotorio sia in perfetta efficienza. Se l’ordine di reagire arriva a un muscolo atono, a un’articolazione poco elastica, l’esecuzione del gesto sarà necessariamente lenta.
3. Gli automatismi.
Si chiama schema motorio prestabilito e si acquisisce con l’esperienza: a un determinato segnale, reagiamo istintivamente con un gesto appropriato. Più sono numerosi e complessi gli automatismi acquisiti, minore è il coinvolgimento della coscienza, e anche il tempo di reazione diminuisce. E’ un meccanismo neurologico che somiglia a una scorciatoia: quando l’impulso arriva al midollo spinale, questo impartisce direttamente ai muscoli il comando di reagire e contemporaneamente invia al cervello una copia del messaggio per informarlo di ciò che sta accadendo. A questo punto però la reazione è già avvenuta.
4. La capacità di previsione.
Per reagire velocemente bisogna anticipare, cioè codificare e riunire in pochi millesimi di secondo le informazioni che giungono dall’ambiente circostante prevedendo ciò che accadrà. In un tempo che va da 300 a 600 millesimi di secondo, un tennista può prevedere a quale velocità e con quale traiettoria viaggia la palla che dovrà ribattere. Come? «Osservando la posizione del corpo, lo sguardo dell’avversario, l’inclinazione della racchetta», continua Camozzini. La velocità di reazione è proporzionale alla qualità e non alla quantità di informazioni che l’atleta riesce a cogliere. Il centometrista ai blocchi di partenza sa bene che tipo di segnale riceverà (il colpo di pistola), sa cosa dovrà fare appena arriverà. E sa che esso è preceduto da altri segnali preparatori (“Ai posti di partenza”, “Pronti”). L’unica incertezza riguarda il momento in cui verrà. E’ su questo che lui concentrerà tutta la sua attenzione.
Esiste una predisposizione a “prevedere”, una capacità innata di coordinare le informazioni e di rispondere più rapidamente di altri? Forse sì, ma nessuno è riuscito a dimostrarlo. Invece, è ormai dimostrato che si sta creando una nuova generazione di persone che questa capacità la possiede in misura finora del tutto sconosciuta: è la generazione del “joystick”, i giovani allenati da ore e ore passate davanti ai videogiochi. Gli istruttori dei giovani carristi dell’esercito francese hanno scoperto che hanno capacità di osservazione delle situazioni e di anticipazione delle scelte, di cui i loro genitori erano del tutto sprovvisti.