Psiche e Soma

Ricette per una vita migliore!

Month: febbraio 2011 (Page 1 of 2)

Un attimo di relax #134

Foto, citazione e libro della settimana sono il mio modo per regalarvi un minuto di relax.

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“Non importa se vinci o perdi… finché non perdi.”

L’umanità ha sempre barattato un pò di felicità per un pò di sicurezza.” ~ Sigmund Freud

Libro della settimana:

Pensiero Creativo

Perché la fila accanto è sempre più veloce?

Oggi un’altra domanda e risposta della rubrica: Psichesoma Answers!

In questa rubrica troverete risposta alle domande che mi avete posto via email e che ho reputato essere di interesse generale.

D. Perché la fila accanto è sempre più veloce?
R. Quando siamo in coda, abbiamo sempre l’impressione che la fila accanto sia più veloce. Meglio però non cambiare corsia, avvertono 2 ricercatori: potrebbe essere un’illusione. Con simulazioni al computer, Donald Redelmeier di Toronto (Canada) e Robert Tibshirani di Stanford (Usa) hanno provato che, anche quando le 2 colonne di auto procedono alla stessa velocità, passiamo la maggior parte del tempo a essere sorpassati anziché a sorpassare. Illusi. Il fatto è che la distanza tra le auto cresce se si viaggia velocemente, diminuisce quando si procede lentamente. Così impieghiamo poco a sorpassare un gran numero di auto ferme mentre, quando siamo fermi noi, deve trascorrere un tempo maggiore perché lo stesso numero di veicoli ci superi. Inoltre le auto che sorpassiamo escono rapidamente dal campo visivo, quelle che ci sorpassano rimangono visibili a lungo.

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Che Vergogna!

Volevate fare i furbi, ma vi hanno scoperto? Avete fatto una colossale gaffe davanti a tutti? Ecco perché, in queste occasioni, si vorrebbe davvero “sprofondare”…

Un’elegante signora, senza biglietto sul bus, multata davanti a tutti. Un manager che, a un pranzo di lavoro, s’imbratta la camicia. Uno studente che deve dire ai genitori di essere stato bocciato… Probabilmente hanno avuto tutti la stessa reazione: si sono sentiti sprofondare dalla vergogna. Ma perché fare una figuraccia, o essere “beccati” a fare qualcosa di sbagliato, fa così male?

Questione d’immagine
La vergogna è la reazione dolorosa al fatto che la nostra immagine è andata in frantumi davanti agli altri: abbiamo “perso la faccia. Questa emozione scatta quando l’immagine che vorremmo dare è “rovinata” da una figuraccia o da un fallimento. Nella vergogna, infatti, è centrale il giudizio degli altri: le persone presenti al momento della brutta figura, o di cui si teme la disapprovazione. Essere ben valutati e apprezzati è vitale. Come la paura ci avvisa di un pericolo, la vergogna è il guardiano della nostra immagine: ci avvisa che stiamo perdendo la reputazione, che gli altri possono pensare male di noi. Ma in quali casi ci si vergogna? Per esempio, quando si commette un’infrazione e si viene scoperti: la propria immagine è “macchiata” da un comportamento che è considerato negativo da sé e dagli altri. Questa è la “vergogna morale”, per essere stati scoperti nel trasgredire una norma, c’è poi la “vergogna da smascheramento”: io ho la pretesa di avere un certo ruolo, ma faccio qualcosa che non è all’altezza. Pensiamo a un attore famoso che dimentica la parte, o a un luminare che dice in pubblico una sciocchezza clamorosa. E c’è anche una “vergogna da svelamento”: si ha quando la propria privacy viene violata. Per la rivelazione di qualcosa che si voleva tenere per sé, per esempio, o di un segreto di famiglia. Ma ci si può anche vergognare di come si è, per esempio del proprio aspetto fisico, se non corrisponde al modello ideale

Prime vergogne
Ognuno si può vergognare per situazioni diverse, e con differenti intensità. Dipende da quanto conta per noi quel campo e da quanto ci importa del giudizio di chi abbiamo di fronte. I bambini iniziano a provare vergogna attorno ai 3 anni, quando cominciano a capire regole e obiettivi del loro ambiente. Tendono a essere più sensibili alla vergogna se i genitori si aspettano molto da loro. O se questi reagiscono ai fallimenti dei figli ripetendo che “non sono bravi” come persone: così i bambini pensano di valere poco. La prima reazione di chi si vergogna è cercare di… sprofondare. Si arrossisce, si evita lo sguardo degli altri, se possibile si va via. Si prova, insomma, a nascondersi dagli altri e dal loro giudizio.

La vergogna ha anche un suo linguaggio corporeo.
Quando “vorremmo scomparire”, infatti, il nostro corpo sembra davvero farsi più piccolo. La testa è chinata, ci si incurva, si abbassano gli occhi. Questa reazione può essere un tentativo di passare inosservati. Ma viene anche collegata ai segnali di sottomissione degli animali. Con testa e occhi bassi, si rinuncia alla sfida. Quando si perde la faccia, anche il corpo reagisce. Aumenta il cortisolo, un ormone coinvolto nella reazione allo stress: la vergogna è infatti un’emozione molto stressante. C’è un aumento anche delle citochine coinvolte nei processi infiammatori. Negli animali, questo aumento è associato a comportamenti di sottomissione e “da malato”, che porterebbero a ritirarsi dalla lotta, ma anche a indurre minore aggressività nel rivale.

Prezzo da pagare
La vergogna ha anche un lato utile al gruppo. Vergognandoci mostriamo di condividere i valori degli altri. Ci sottomettiamo e paghiamo un prezzo per la violazione: la nostra sofferenza. Il rossore non può essere simulato: è il segno che siamo sinceri, che la nostra reazione è vera. Arrossire non è una confessione: basta l’accusa, anche se falsa, di aver fatto qualcosa di sbagliato. Ma segnala che si è sensibili alle regole e al giudizio altrui. Questa emozione, però, può anche essere distruttiva. Chi si sente schiacciato dalla vergogna evita gli altri: chiudendosi in casa, o arrivando a scappare. Chi pensa che la propria immagine sia rovinata in modo irreparabile può giungere a suicidarsi. Inoltre, la vergogna può scatenare rabbia, diretta contro se stessi o chi si pensa sia stato la causa della propria umiliazione.

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Un attimo di relax #133

Foto, citazione e libro della settimana sono il mio modo per regalarvi un minuto di relax.

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“La felicità in mano.”

Il pensare è l’anima che parla a se stessa.” ~ Platone

Libro della settimana:

La Nuova Macrobiotica

È vero che il tempo passa più lentamente quando si è anziani?

Oggi un’altra domanda e risposta della rubrica: Psichesoma Answers!

In questa rubrica troverete risposta alle domande che mi avete posto via email e che ho reputato essere di interesse generale.

D. È vero che il tempo passa più lentamente quando si è anziani?
R. No. Gli ultrasessantenni hanno invece la sensazione che il tempo voli. Questo almeno per quanto riguarda una scala temporale ampia. Nel breve periodo, infatti, eventi come una piccola attesa nella quale non si può fare nulla, sembrano non passare mai. E questo avviene sia negli anziani sia nei giovani. Diversamente avviene invece nel lungo periodo. A questa conclusione sono arrivati un gruppo di psicologi della University of London. Nel corso di una ricerca, hanno chiesto a persone appartenenti a tre differenti gruppi di età (18-21, 35-50 e più di 60) di indicare il mese e l’anno di alcuni fatti noti accaduti tra il 1990 e il 1996. I giovani in media hanno collocato ciò che era accaduto in un periodo più vicino al presente. Gli anziani invece hanno spostato indietro gli eventi, dimostrando che per loro nel frattempo erano accadute molte altre cose. Secondo i ricercatori, questo conferma il fatto che per la persona anziana il tempo trascorre velocemente.

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Bugie allo specchio. Così la nostra mente “crea” l’immagine corporea.


Ci vediamo grassi? O belli e muscolosi, anche se con un po’ di pancia? Meglio non credere (del tutto) ai propri occhi. Perché il cervello corregge lo specchio.La matrigna di Biancaneve aveva un rapporto conflittuale con il suo specchio,che si ostinava a non considerarla la più bella del reame… E non è la sola. Molte donne non sipiacciono e tendono a vedersi sovrappeso: più della metà vede nel proprio riflesso un corpo più grasso del 20%. Gli uomini sono più generosi con se stessi: molti si vedono normali pur essendo un po’ sovrappeso, muscolosi anche se magari hanno un filo di pancetta. Ma non bisogna fidarsi dei propri occhi.
Quella che noi vediamo allo specchio non è un’immagine “obiettiva”. La percezione del corpo è sempre filtrata dalla mente. È influenzata dall’umore, dall’importanza data al giudizio degli altri,dai criteri estetici della società. Ecco allora che maschi e femmine si guardano in modo diverso.  È di moda una magrezza innaturale e le donne “normali”, che non corrispondono a questo ideale, si vedono così troppo grasse, gli uomini, invece, sono meno abituati a considerare determinante il proprio aspetto fisico. Allo specchio si guardano meno e tendono a essere più “indulgenti”: insomma, si vedono più in forma».
Però, non sono male…
Ma allo specchio si attiva, in genere, un meccanismo positivo: ci vediamo “belli”. L’immagine che guardiamo è frutto di una inconsapevole “correzione estetica”. Primo, tendiamo a metterci in posa: a osservarci dal profilo migliore, a sorridere, a trattenere la pancia. E poi non notiamo eventuali difetti: un naso troppo lungo, le occhiaie, qualche capello bianco… È una strategia di sopravvivenza: per sentirci bene dobbiamo vederci belli, piacevoli. L’immagine ottimistica che creiamo osservandoci non corrisponde a come appariamo quando abbiamo una posa spontanea. È per questo che a volte non ci riconosciamo se ci vediamo “al naturale”. Come nel riflesso in una vetrina, o nelle foto non posate, in cui infatti spesso ci sembra di essere venuti male.Vari fattori possono però influire. I modelli culturali o per esempio lo stato mentale. Quando si è di cattivo umore, la percezione di sé è più critica. Si vedono difetti che non si noterebbero. E anche l’età conta. Gli adolescenti sono preoccupatiper il loro aspetto e finiscono pervedersi brutti. Sentono che il loro corpo cambia e vorrebbero essere il più possibile attraenti. Quest’ansia li rende ipercritici sul loro aspetto, sopravvalutando i difetti.
Il mio naso è orribile
La percezione di sé può essere talmente alterata da originare autentici disturbi. Come la “dismorfofobia”: l’ossessione di avere un difetto fisico, esagerato o immaginario. C’è chi, per esempio, si vede un naso orrendo e si sottopone a continue operazioni per cambiarlo. Un disturbo dell’immagine corporea può essere presente nell’anoressia: alcune anoressiche si vedono grasse, anche se sono scheletriche. Accade soprattutto alle ragazze. Ma esiste un disturbo equivalente che riguarda più spesso i maschi, la“dismorfofobia muscolare”: chi ne soffre si vede gracile, anche se ha un fisico plasmato dal body building. E cerca di mettere su ancora più muscoli.

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Un attimo di relax #132

Foto, citazione e libro della settimana sono il mio modo per regalarvi un minuto di relax.

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“Ci hanno detto che qua vicino abita un insonne, è così?”

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Che cos’è il principio di precauzione?

Oggi un’altra domanda e risposta della rubrica: Psichesoma Answers!

In questa rubrica troverete risposta alle domande che mi avete posto via email e che ho reputato essere di interesse generale.

D. Che cos’è il principio di precauzione?
R. Il principio di precauzione sostiene che la mancanza della certezza scientifica che un’attività produttiva provochi un danno non può costituire una ragione per non impegnarsi a prevenirlo; soprattutto se ci sono ragionevoli dubbi sulla possibilità che prima o poi qualcosa possa accadere. In altre parole, se si teme di fare qualche guaio grave, anche se non se ne è sicuri al cento per cento, è meglio essere prudenti. È stato formulato negli anni Ottanta in materia di difesa dell’ambiente; poi si è esteso fino a diventare un principio generale che riguarda ogni intervento sulla natura e sulla salute.Viene molto invocato nel caso degli organismi geneticamente modificati (ogm) e degli xenotrapianti (i trapianti con organi animali). Una parte del mondo scientifico pensa che una sua applicazione esagerata bloccherebbe molte ricerche.Altri ritengono che si potrebbero evitare casi come quello del trasferimento di geni provenienti da batteri da mais ogm coltivato a quello delle varietà selvatiche messicane.

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Umore: tutti i trucchi per migliorarlo.


Secondo la scienza, l’umore è lo specchio del nostro corpo: se siamo pieni d’energia, le emozioni positive sono più forti.

Cambiare umore? Non è difficile, secondo Robert E. Thayer, docente di psicologia alla California State University a Long Beach. Secondo lui, le fluttuazioni dell’umore, ma anche dell’autostima, sono strettamente influenzate da fattori biologici interni e seguono le fluttuazioni ritmiche della temperatura del corpo e del ciclo sonno-veglia. Il buonumore, quindi, non sarebbe altro che lo specchio della condizione fisica. «Quando le risorse personali sono elevate, ci si sente di buon umore» riassume Thayer. «I test hanno dimostrato che quando si è pieni d’energia le emozioni positive su se stessi sono molto più forti».
Thayer riassume l’umore in 4 livelli di energia. 1. “Stanchezza tesa”, l’umore peggiore: si è stanchi e anche stressati. 2. “Stanchezza calma”, cioè stanchezza senza stress: può essere piacevole soprattutto al momento giusto, prima di andare a dormire. 3. “Energia tesa”, ci si trasforma in una macchina da lavoro ad alto stress: non si funziona al meglio. 4. “Energia calma”, è energia senza tensione, e dà una condizione di piacevole produttività, mentre l’attenzione è del tutto focalizzata.

Il decalogo del buonumore
Il rimedio cui tutti ricorrono quando sentono la crisi di “stanchezza tesa”, fatta di malumore e stress, è il cibo, prevalentemente patatine fritte, dolci e cioccolato. Rimedio sbagliato: secondo Thayer servirebbe invece l’esercizio fisico. Thayer e altri ricercatori hanno individuato un decalogo di interventi d’emergenza per rimediare al cattivo umore, ma anche per prevenirlo. Eccoli.
1. Il movimento. Un esercizio moderato, anche solo una passeggiata di 10 minuti a passo veloce, aumenta immediatamente il livello di energia e migliora il tono dell’umore meglio di una barretta di cioccolato. La ricerca di Thayer ha infatti dimostrato che chi mangia il cioccolato, a distanza di un’ora si sente ancora più teso, mentre 10 minuti di marcia a passo veloce aumentano l’energia per 1-2 ore. In caso di bisogno, una passeggiata (possibilmente in mezzo al verde) basta a ridare serenità
2. Agenda e orologio. È utile fare caso agli alti e bassi della propria energia, che segue un andamento preciso. Immediatamente dopo la sveglia l’energia è bassa, anche se il sonno è stato ristoratore. Ha poi un picco nella tarda mattinata, dalle 11 alle 13. Riscende nel tardo pomeriggio fra le 15 e le 17, per rialzarsi prima della serata, dalle 18 alle 19, e crollare al suo punto più basso alle 22. Meglio piazzare gli impegni più difficili quando l’energia è elevata, e in corrispondenza dei cali d’energia l’ideale è fare una passeggiata.
3. Imparare a osservarsi. Come si comporta l’umore? Mangiare ci fa sentire subito meglio? E dopo due ore? Fare moto dà benefici immediati? E a distanza di tempo? Che effetto ha la caffeina (caffè, bibite a base di cola, tè) al mattino, al pomeriggio e alla sera? Ognuno ha le sue risposte, ed è importante verificarle per controllare l’umore.
4. Ascoltare musica è secondo solo all’esercizio fisico nella capacità di elevare l’energia e ridurre la tensione. La musica, secondo Thayer, è sottoutilizzata, ma è un sistema efficacissimo per alzare il tono dell’umore. «Scegli un’opera jazz, un’aria gioiosa, o una musica rock. Funziona qualsiasi musica allegra ti piaccia» dice Thayer. La musica aumenta nel cervello la produzione di noradrenalina, un ormone importante per il buonumore. La musica allegra fa mettere gli occhiali rosa, quella triste grigi: cambia la percezione del mondo. All’Università di Groeningen, in Olanda, i ricercatori hanno fatto sentire agli studenti musica allegra (il balletto Coppelia di Léo Delibes) e musica triste (Il cigno di Tuonela di Jan Sibelius); poi hanno mostrato loro le foto di alcuni visi con varie espressioni, alcune chiaramente felici, altre tristi, altre neutre. Dopo la musica triste i visi neutri sembravano tristi, anzi, depressi. La stessa espressione pareva felice dopo l’ascolto di musica allegra.
5. Schiacciare un pisolino. Molti non sanno pisolare nel modo giusto, cioè 10-30 minuti, non di più, altrimenti il pisolino peggiora la situazione: lascia intorpiditi e potrebbe addirittura ostacolare il sonno notturno.
6. Stare in buona compagnia. Gli studi dimostrano che chiamare un amico e fare quattro chiacchiere può essere estremamente efficace per l’umore.
7. Meditare. Richard Davidson, dell’EM Keck laboratory for functional brain imaging and behavior dell’University of Wisconsin, studiando 200 persone con la risonanza magnetica cerebrale, ha dimostrato che la meditazione attiva una zona del cervello sinistro (corteccia prefrontale) che dà sensazioni di felicità, entusiasmo, gioia, energia. In parallelo si riduce l’autocoscienza, con tutte le preoccupazioni. Non importa il tipo di meditazione: danno gli stessi risultati la preghiera religiosa, la meditazione buddista e lo yoga. Il malumore e le sensazioni di tristezza, ansia e pena attivano invece la zona controlaterale del cervello, la prefrontale destra.
8. Sorridere con gli occhi, consiglia invece Paul Ekman, docente di psicologia alla University of California. Le espressioni del viso influenzano l’umore. Se esiste una strada nervosa che collega l’umore con la sua espressione nella mimica facciale, perché dovrebbe essere a senso unico? «Nel corso della nostra ricerca abbiamo scoperto qualcosa di sorprendente» dice Paul Ekman. «Se si assume intenzionalmente un’espressione, si provoca un effetto anche nel cervello. Se si sorride nel modo giusto, si attiva la biochimica dell’allegria. La faccia non è solo un mezzo per manifestare l’emozione: serve anche ad attivarla. Le espressioni volontarie hanno un effetto sul sistema involontario. In altre parole, il semplice fatto di modificare il viso sorridendo attiva nel cervello l’area del buonumore, proprio come un’espressione corrucciata genera tristezza». Ma per cambiare umore bisogna che il sorriso abbia alcune caratteristiche. Gli angoli della bocca si piegano verso l’alto, la pelle a lato degli occhi si arriccia con il caratteristico aspetto a zampa di gallina. Questo è il “sorriso di Duchenne”, da Guillaume Duchenne, il neurologo francese che per primo lo descrisse.
9. Dimenticare i farmaci, se non sono prescritti dal medico per curare gravi alterazioni del tono dell’umore. Anche le droghe (alcol, nicotina, cocaina e amfetamine) migliorano l’umore, ma hanno un effetto boomerang: alla lunga lo peggiorano.
10. Fare buone azioni. Quando sono spontanee e fanno appello alle potenzialità personali, trasformano l’umore di un’intera giornata. L’esercizio della bontà, dell’umanità, della cordialità porta all’oblio di sé, ed è una gratificazione diversa dal piacere. La vita piacevole può stare in un bicchiere di champagne o nella guida di una Porsche. Il benessere no.

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Un attimo di relax #131

Foto, citazione e libro della settimana sono il mio modo per regalarvi un minuto di relax.

Funny Pictures - Cyoot Kittens

“Questa scarpa mi va un po’ larga.”

Per i nemici le leggi si applicano, per gli amici si interpretano.” ~ Giovanni Giolitti

Libro della settimana:

I Dodici Guaritori

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