Chi possiede un cane o convive con un gatto non ha dubbi: a chi gli domanda se gli animali “pensino oppure no”, risponde senza esitazione in modo affermativo, e comincia a raccontare innumerevoli aneddoti, e gli episodi nei quali il suo cucciolo ha dimostrato di saper risolvere problemi complessi. Si tratta soltanto di coincidenze, come fanno notare gli scettici, o davvero gli animali hanno una mente, e quindi sono intelligenti? La scienza, fino a poco tempo fa, non dava risposte, ma negli ultimi anni l’etologia, e le ricerche sul comportamento animale hanno fornito nuove informazioni. Parallelamente sono aumentate le conoscenze sulle funzioni del cervello, e si è scoperto che spesso gli animali, anche nella mente, non sono così diversi da noi: sono in grado di ragionare, di compiere scelte, di affrontare situazioni impreviste.
L’ultima scoperta, in ordine di tempo, è quella di un gruppo di ricercatori dell’università di Tokio, che hanno dimostrato che i piccioni sono in grado di distinguere una pittura cubista da un dipinto impressionista. Proprio così: dopo un periodo di apprendimento, gli uccelli non solo hanno saputo riconoscere un Picasso da un Monet, ma, messi di fronte a un Renoir, che non avevano mai visto prima, non hanno avuto esitazioni e lo hanno correttamente “classificato” come impressionista, persino quando l’immagine presentata era in bianco e nero. I piccioni hanno dunque una accentuata sensibilità estetica? Probabilmente no, ma indubbiamente riescono a percepire dettagli minimi, a memorizzarli, e poi a rielaborarli nella loro mente.
Quello che conta è la qualità e non la quantità
Ma chi può garantire che l’operazione che un animale compie sia frutto di intelligenza, e non sia invece dovuta a una reazione automatica o a un istinto? L’istinto cieco, che potrebbe dipendere esclusivamente da un codice genetico programmato, in realtà non esiste. Prendiamo l’istinto sessuale. Gli animali si accoppiano per riprodursi, e quindi si potrebbe supporre che l’atto sessuale venga effettuato seguendo un impulso atavico, che domina completamente l’individuo. Non è così: è vero che gli individui che vengono isolati dal gruppo (che quindi non hanno avuto modo di osservare gli altri) hanno comunque un senso innato che gli permette di accoppiarsi, ma è anche vero che hanno notevoli difficoltà a farsi accettare: non hanno cioè imparato dai loro simili i codici e le raffinatezze che consentono di effettuare nel modo migliore il rituale previsto. E vengono regolarmente rifiutati. L’apprendimento però richiede anche una forma di pensiero. C’è però una differenza tra intelligenze superiori e inferiori, ed è la stessa che si riscontra tra modelli diversi di computer: è la capacità di trattare contemporaneamente una diversa massa di informazioni. Se si possono recepire ed elaborare tante informazioni, si possono anche tenere sotto controllo una maggiore quantità di eventi. Gli organismi più semplici hanno un sistema nervoso meno sviluppato e quindi sono presumibilmente meno dotati. Ciò che conta però non è la quantità, bensì la qualità. Un esempio? Il volume cerebrale di uomini illustri varia dai 2.000 millilitri di Bismark ai 1.100 di Leone Tolstoj. Un uomo affetto da microcefalia ha un cervello anche più piccolo di quello di un gorilla, ma il suo comportamento resta di tipo umano. esistono dunque caratteristiche comuni tra uomo e animali. E caratteristiche differenti. Ma fino a che punto questa differenza è incolmabile? Gli organismi meno evoluti, hanno un comportamento stimolo-risposta: se per esempio vengono toccati, rispondono automaticamente con un atto motorio. Un sintomo di maggiore intelligenza è invece la capacità di elaborare le informazioni, e di effettuare relazioni tra ciò che avviene nell’ambiente. Questa capacità, che hanno tutti i vertebrati, dipenderebbe dalla possibilità di effettuare associazioni tra stimoli diversi, il che significa che l’animale è in grado di porre delle relazioni di causa ed effetto, e di interpretarle.