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Tag: neuroni specchio

La memoria del corpo. Parte 2

Ecco la seconda parte del post sulla memoria del corpo. La prima parte la trovate QUA.

Prigionieri della memoria
La griglia che si forma nella mente per effetto del consolidamento della memoria diventa una vera e propria gabbia per chi, a causa di una malattia o di un incidente, ha subìto danni nelle regioni del cervello da cui partono i comandi che ordinano ai muscoli di muoversi. Il malato è prigioniero della memoria del suo corpo» dice Carlo Perfetti, responsabile scientifico del Centro di neuroriabilitazione cognitiva Villa Miari, di Santorso (Vicenza). «Il suo cervello ritiene di potersi muovere come faceva prima».Ma non riesce più a farlo. Perfetti è in Italia il caposcuola di una nuova tecnica di riabilitazione che cerca di modificare il modo di lavorare del cervello «sfruttando la plasticità, cioè la capacità di riorganizzarsi, che gli è propria». La tecnica prevede esercizi che costringono a concentrarsi su ogni piccola parte della sequenza che porta all’esecuzione di un movimento. «Invitiamo i pazienti a compiere gesti non abituali, come toccarsi il naso, ma con il dito mignolo invece che con l’indice. Questo stimola la riorganizzazione delle aree cerebrali ». E il cervello impara a lavorare in un altro modo.

Caccia al fantasma
La plasticità è invece la croce di chi, dopo un’amputazione, continua a percepire l’arto mancante. Questa sensazione, che i medici chiamano “arto fantasma”, è dovuta al fatto che le aree del cervello responsabili delle sensazioni che provenivano da quell’arto continuano a essere innervate. Solo col tempo i nervi che trasportano sensazioni da altre parti del corpo occupano le aree cerebrali rimaste senza… lavoro. Il neuroscienziato americano Vilayanur Ramachandran racconta di un uomo che “sentiva” il braccio amputato ogni volta che rideva: le zone responsabili delle sensazioni della sua guancia ora occupavano quelle che, prima, arrivavano dal braccio. Scoperto il motivo del suo disturbo, l’uomo si disse soddisfatto. Se aveva un prurito all’arto fantasma ora sapeva che gli bastava grattarsi la guancia.

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La memoria del corpo. Parte 1

Un giorno indimenticabile? Quello in cui abbiamo imparato a camminare. Non possiamo ricordare quando e dove è successo, né quante volte eravamo caduti prima di riuscirci. Eppure il cervello non dimenticherà mai quali ordini deve impartire ai muscoli per camminare ed eseguirà il compito senza che ce ne rendiamo conto. È una questione di risparmio. Se ogni volta che muoviamo un passo dovessimo fare attenzione a ogni muscolo, avremmo ben poche possibilità di dedicarci ad altre attività. Ma le azioni che, una volta apprese, diventano automatiche sono parecchie: quando si ha sete, la mano si muove “da sola” verso il bicchiere. Allo stesso modo, si impara a guidare una volta per tutte, e quando si cambia la marcia non ci si concentra più sul movimento del braccio. Né ci si dimentica come si scia o come si va in bicicletta. Ma come fa il cervello a guidare il corpo come un pilota automatico?

Guardando s’impara
Gli inizi possono essere difficili. Quando si impara un gesto nuovo, il cervello scompone la sequenza dei movimenti da eseguire e si concentra sui particolari. Inizialmente si procede per prove ed errori. Chi cade mentre impara ad andare in bicicletta, si sbuccia un ginocchio ma capisce quale movimento non deve fare. A maggio, una ricerca pubblicata sulla rivista scientifica Neuron ha confermato che guardare qualcuno che esegue i gesti che stiamo imparando accelera il nostro apprendimento. Merito dei “neuroni specchio”, scoperti una quindicina di anni fa da Giacomo Rizzolatti, neuroscienziato dell’Università di Parma. «Queste cellule si attivano vedendo una determinata scena, e preparano il cervello a eseguire gli stessi movimenti che stiamo osservando» spiega. L’attività dei neuroni specchio, infatti, si ripeterà con lo stesso schema anche quando il cervello ordinerà ai muscoli di muoversi. Quando il compito riesce, il cervello registra il successo e, nelle 6 ore che seguono, lavora per memorizzare la sequenza esatta dei movimenti eseguiti. È come se il sistema nervoso schiacciasse il pulsante “salva” per depositare il file nel suo hard disk. Sono 6 ore davvero critiche, durante le quali il cervello va lasciato tranquillo. È infatti dimostrato che chi cerca di imparare un ulteriore compito in quel periodo dimentica il precedente. Per questo ai maestri di tennis, per esempio, si consiglia di non impostare mai nello stesso giorno sia il dritto sia il rovescio. La memoria diventa più stabile con una bella dormita. E si consolida ulteriormente se il gesto viene ripetuto nei giorni seguenti. Lentamente le connessioni nervose che permettono di eseguire correttamente il compito si stabilizzano. Il movimento si fa più fluido e si può lavorare per renderlo più preciso. Alla fine diventa automatico, e non si dimentica più.

Ballare a occhio
Una volta che la memoria è consolidata, neppure la volontà più ferrea può scalfirla: e questo, a volte, può essere un problema. Per esempio, quando la lezione appresa era sbagliata! Qualche spazio di manovra, però, resta se siamo costretti a cambiare schema. Anche quando i movimenti diventano automatici, i nostri sensi sono sempre tesi a recepire ciò che accade attorno a noi; per questo, se lungo un percorso abituale ci avvicina un individuo sospetto acceleriamo l’andatura. A rafforzare la memoria dei gesti contribuiscono le informazioni che arrivano al cervello dalle articolazioni, dai tendini e dai muscoli. Qui, infatti, si trovano piccole strutture, i propriocettori, che tengono il cervello al corrente sulla posizione del corpo e gli dicono a che punto è il movimento. Si conosce un solo caso di un uomo che, in seguito a un’infezione, ha perso del tutto la propriocezione: è rimasto immobilizzato per mesi, finché ha capito che poteva sostituire i messaggi che il cervello riceve dai muscoli con quelli che provengono dagli occhi. Così ha reimparato a camminare, ma deve guardare a ogni passo dove mette i piedi e non perdere mai la concentrazione… La propriocezione è fondamentale per i ballerini: i messaggi che partono dai muscoli impiegano circa 60 millesimi di secondo a raggiungere il cervello, mentre gli stimoli visivi hanno bisogno di 10 millesimi di secondo in più. Per questo, i ballerini che si affidano troppo alle immagini che rimanda loro lo specchio sulla parete, sono meno bravi di quelli che si concentrano sui movimenti del corpo. In mancanza di muscoli, invece, i robot si affidano alla vista e all’udito per muoversi. Telecamere e sonar inviano all’elaboratore centrale le informazioni sull’ambiente e sulla posizione del robot, permettendogli di muoversi senza inciampare. Come fa il robot Asimo, della Honda. Mentre Rabbit, sviluppato dal Consiglio nazionale delle ricerche francese e dall’Università del Michigan (Usa), sa riacquistare l’equilibrio se viene spinto. Con un programma adeguato, un robot potrebbe eseguire anche sequenze di movimenti complessi. Per i ballerini, invece, non c’è programma che tenga: bisogna esercitarsi continuamente per mantenere in forma articolazioni e muscoli e per tenere a mente i passi delle coreografie. Accade lo stesso ai pianisti: resta la memoria della tecnica di base, ma l’agilità delle dita si perde e si dimenticano anche le note e i passaggi di un brano.

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Come valutiamo le persone? Parte 2.

Ecco la seconda parte del post su come valutiamo le persone. La prima parte la trovate QUA.

L’importanza del naso
Risultano poi più simpatici gli ottimisti e le persone felici rispetto ai pessimisti infelici. Mentre l’attrazione sessuale si basa, secondo Claus Wedekind, biologo dell’Università di Edimburgo, su analogie e differenze di alcuni messaggi odorosi legati al sistema immunitario che percepiamo inconsciamente. Poi c’è la stretta di mano, gesto che, secondo gli psicologi dell’Università dell’Alabama, consente di giudicare il carattere in base al calore, alla forza, alla durata della stretta e al contatto dello sguardo. Le donne che stringono in modo risoluto passano per aperte, intellettuali e socievoli. Gli uomini, al contrario, sono giudicati aperti quando la loro stretta è ferma senza essere una morsa.

Specchi nel cervello
Con cosa valutiamo chi ci sta di fronte? Coi “neuroni specchio”, scoperti da Vittorio Gallese e Giacomo Rizzolatti dell’Università di Parma, che ci aiutano a interpretare il comportamento altrui. Entrano in funzione quando si compiono certe azioni, per esempio nel cervello delle scimmie si accendono quando l’animale rompe il guscio di una nocciolina. Ma anche quando vede altri farlo e persino quando ne sente il rumore. Rappresentano il significato delle azioni: non importa se l’animale le ha eseguite o solo viste, o udite. Il concetto di “rompere una nocciolina” è registrato in quel neurone. Questo potrebbe spiegare come facciamo a decodificare gli atteggiamenti degli altri. I neuroni specchio ci consentono di proiettarci negli altri, di leggere i loro pensieri, di prevederne le azioni. Perché per farsi un giudizio sulle intenzioni altrui è necessaria una simulazione nel proprio cervello, che senza neuroni specchio sarebbe impossibile.

Attendibile con giudizio
L’intuizione sociale è quindi attendibile, ma non al 100%: innamoramento, depressione, ormoni, alterano la capacità di giudizio. E così gli stereotipi: la bionda è oca, il funzionario noioso, l’artista bizzarro… Una volta formulato, lo stereotipo è un marchio indelebile. Col rischio della reciprocità: si è antipatici a chi ci è antipatico.

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Come valutiamo le persone? Parte 1.

Bastano 200 millisecondi, quanto uno sbattere di ciglia, per farsi un’idea dello sconosciuto appena incontrato.
«In quel quinto di secondo viene valutato ogni particolare» dice John Bargh, psicologo della New York University. Non c’è da stupirsi: quando il nostro antenato ominide andava a spasso per la savana, doveva capire al volo se chi gli veniva incontro era amico o nemico. Chi azzeccava la valutazione aveva maggiori probabilità di sopravvivere e lasciare discendenti, e questo spiega perché ancora oggi siamo in grado di intuire nel nostro interlocutore rabbia, tristezza, paura o piacere anche se lui tenta di nasconderli. Si chiama intuizione sociale, è una capacità che attraversa tutte le culture ed è uno strumento notevolmente specializzato: ci consente di capire quasi tutto in 10 secondi.

Intuito attendibile
Che si tratti di un colloquio di lavoro, di una festa, di un appuntamento galante o del professore al primo ingresso in classe, basta uno sguardo. E gli studi hanno dimostrato che è attendibile. Nalini Ambady e Robert Rosenthal, ricercatori di Harvard, hanno dimostrato che 3 spezzoni video, di 10 secondi l’uno, registrati rispettivamente all’inizio, a metà e alla fine della prima ora di lezione di 13 insegnanti, bastavano agli allievi per valutarne sicurezza, attivismo e passione per la materia. Impressioni confermate dalle valutazioni ripetute alla fine del semestre. In base a che cosa si decide? Età, sesso, fascino sono i primi criteri. L’abito fa il monaco, e ci facciamo un’idea di chi abbiamo di fronte anche da abbigliamento e pettinatura. E da mimica, andatura, odore e voce. Per una prima impressione sulla personalità può bastare una foto. E questo vale anche per gli stranieri: da un ritratto i cinesi sono in grado di capire se un americano è estroverso e piacevole, e lo stesso possono fare gli americani con la foto di un cinese. Abito fuori luogo, pettinatura “sbagliata”, tono di voce inadeguato possono dare un’impressione negativa. Lo sa bene il venditore di professione, che indossa abiti curati, porta i capelli in ordine e tiene la voce bassa. In tal modo riesce a guidare l’intuito altrui (che comunque cade a volte in errori clamorosi, come con le “intuizioni matematiche”).

Marcia eloquente
L’orientamento sessuale viene desunto dai gesti: ad Harvard hanno proiettato registrazioni di una persona senza volto: bastava un secondo per catalogare l’attore come etero o omosessuale. Con 90 secondi di camminata si desume la leadership, e questo permette di scegliere il passante al quale chiedere un’informazione o la carità. La voce, anche se recita l’alfabeto, dà indicazioni sulla sicurezza di sé. E sull’intelligenza: è impossibile dedurre l’intelligenza da un filmato muto. Attribuiamo forte energia mentale a chi parla in modo scorrevole e pulito, ma sono importanti pure i contenuti: attenti a come si parla degli altri; accusare qualcuno di un difetto rischia di far attribuire quello stesso difetto all’accusatore.

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