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Ha sofferto un animale per la tua bellezza?

cosmetici

Ci sono grosse novità sui test sugli animali. Da marzo l’Europa ha fatto un passo avanti limitando i test che prevedono di spalmare sostanze chimiche sugli occhi o sulla pelle integra o lacerata di conigli e ratti. La strada è lunga e porterà, dopo questa prima tappa, all’eliminazione definitiva nel 2013 dei test sugli animali. Il problema è: si riuscirà entro quella data a trovare test alternativi di tossicità, altrettanto validi?
La risposta a questa domanda la potete trovare nell’articolo del sito altroconsumo: “Cosmetici gli animali non sono cavie.”

Voglio però condividere una piccola guida per capire se il prodotto cosmetico da voi comprato non è stato testato sugli animali.

Ci dobbiamo fidare dell’etichetta?

Non sempre, perché si tratta spesso di autodichiarazioni non controllate. Vediamo di fare chiarezza sul significato di alcune scritte che troviamo sui cosmetici, senza dimenticare che l’assenza di dichiarazioni o marchi non significa comunque che l’azienda effettui test su animali.

Testato dermatologicamente: il prodotto è stato testato su persone, ma ciò non esclude anche test sugli animali. Prodotto finito non testato su animali oppure Non testato su animali: è una presa in giro, perché è dal 2005 che tutti i prodotti finiti, per legge, non sono più testati su animali. Però è sempre possibile che ci sia stata sperimentazione sugli animali per quanto riguarda l’uno o l’altro ingrediente.
Cruelty free: è un’autodichiarazione dei produttori, senza nessuna garanzia precisa né certificazione esterna.
Stop ai test su animali (coniglietto che salta) controllato da ICEA per LAV: in questo caso l’azienda aderisce a standard internazionali certificati. Non solo dichiara di non fare o commissionare test su animali e nemmeno acquistare ingredienti sperimentati su animali, ma per ottenere il diritto di apporre il marchio invia la documentazione relativa a un ente terzo, che deve controllare e rilasciare il simbolo. Tutto dipende, ovviamente, dal rigore con cui sono seguite le diverse tappe della procedura: ma almeno c’è.

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Belle senza test

pigCirca 45.000 ammali ogni anno muoiono sfigurati da rossetti, intossicati da profumi, bruciati da creme e saponi. Eppure sono più di 10 mila gli ingredienti cosmetici già disponibili per le aziende e molti i metodi al­ternativi di ricerca. Diversi sondaggi m tutta Europa han­no dimostrato che la maggioranza delle persone non cre­de che sviluppare nuovi cosmetici sia una valida giustifica­zione per uccidere animali, ma nonostante ciò si continua­no a commercializzare cosmetici sperimentati su animali. Grazie ad una grande campagna internazionale coordinata dalla Coalizione europea contro la vivisezione, le associa­zioni animaliste hanno ottenuto una direttiva europea che prevedeva il divieto di vendita di cosmetici sperimentati su animali a partire dal 1998. Termine che la lobby del­l’industria farmaceutica è riuscita a far posticipare prima al 2000 e poi al 2002.
La direttiva 2003/15/CE ha sancito un ennesimo allun­gamento dei tempi per il bando totale ai test cosmetici su animali praticati all’interno delll’Ue e il divieto di com­mercio di cosmetici sperimentati su animali è slittato così al 2013.
Fino a quella data, l’unica scelta per i consumatori che non intendono con i loro acquisti sostenere le aziende che av­vallano i test sugli ammali è acquistare prodotti delle azien­de che aderiscono allo «Standard internazionale non testato su ammali», promosso dalla Lega Anti Vivisezione (Lav) e riconosciuto a livello internazionale. La conformità delle aziende ai principi dello Standard non testato su animali è controllato da Icea, l’Istituto per la cer­tificazione etica e ambientale. Le aziende che chiedono il ri­conoscimento devono compilare un questionano dettagliato sulla propria politica aziendale in merito ai test su animali e fornire informazioni di tipo commerciale (tipologia di pròdotti commercializzati, mercato, origine degli ingredienti). L’azienda inoltre deve presentare una dichiarazione scrit­ta di tutti i propri fornitori che attesti il loro impegno a non eseguire test su animali almeno a partire dalla data di sot­toscrizione dello Standard. La Lav riceve la documentazione e si occupa di controllare che siano state inserite tutte le in­formazioni richieste e che queste siano coerenti. Se la do­cumentazione risulta completa e corretta, l’azienda può ri­chiedere la visita ispettiva di Icea, che, attraverso il suo per­sonale tecnico, organizza un controllo sul campo. Solo in seguito all’esito positivo della visita ispettiva, Lav autoriz­za l’azienda all’utilizzo della dicitura dello standard.

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Esperimenti scientifici: questi oggi non si sarebbero potuti fare!

esperimento scientificoChe cosa è successo ai vecchi tempi, quando uno scienziato poteva esercitarsi liberamente in laboratorio, senza troppo preoccuparsi di un problema chiamato etica?

1. Gli studi sull’obbedienza di Stanley Milgram

In questo studio dell’Università di Yale, ai partecipanti è stato detto di far parte di un esperimento sugli effetti della punizione di apprendimento. Essi sono stati incaricati di insegnare a un altro soggetto (lo “studente”) un elenco di parole, e ogni volta che lo studente avesse commesso un errore avrebbero dovuto premere una leva che mandava una scossa elettrica tramite un generatore (le leve andavano da 15 volt fino a 450 volt e l’etichetta indicava “Pericolo: Gravi Shock” e “XXX”.)
Lo studente (che, senza che i partecipanti lo sapessero, non riceveva in realtà la scossa, ma faceva finta di riceverla!) aumentava gradualmente la voce fino al punto di urlare: “non posso sopportare il dolore! Lasciatemi libero! ” Lo sperimentatore però esortava i partecipanti a continuare a infliggere scosse di voltaggio sempre maggiore e quasi il 65% dei partecipanti continuò a rispettare la volontà dello sperimentatore, dando la scarica massima di 450 volt. I partecipanti non erano sadici, dedusse Milgram, semplicemente sentivano il bisogno di obbedire a figure autoritarie.

2. Esperimenti alla Stanford Prison

Nell ‘estate del 1971 Philip Zimbardo mise degli studenti di Stanford in carcere. Agli studenti, volontari ma pagati, furono assegnati il ruolo di guardia o di prigioniero. I prigionieri furono sorpresi nelle loro abitazioni, ammanettati, e portati dalla polizia alla prigione improvvisata nello scantinato del reparto di psicologia. Furono spogliati dei loro effetti personali e gli furono stati dati grembiuli, protezioni in nylon, e numeri di identificazione. Alle guardie in uniforme fu semplicemente detto di far rispettare le regole.
In soli pochi giorni, le guardie cominciarono a elaborare rituali sadici e degradanti per i prigionieri, molti dei quali divennero depressi, ansiosi, o apatici. Anche se sapevano che questo era solo un esperimento, tutte le guardie e i detenuti iniziarono ad adottare il proprio ruolo, sovrastando la loro normale personalità ed individualità. Il risultato fu stato così drammatico che l’esperimento fu interrotto dopo solo sei giorni.

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