Psiche e Soma

Ricette per una vita migliore!

Tag: cibi salati

La voglia di mangiare. Parte 2

Ecco la seconda parte del post sulla voglia di mangiare. La prima parte la trovate QUA.

Che dieta: niente cibo, niente sesso
Le diete, dunque. Oggi c’è un’ attenzione per il corpo superiore rispetto al passato. E questo, naturalmente, si riflette anche sull’alimentazione. Tanto più che non si mangia più per semplice bisogno di nutrimento, ma per il piacere di farlo. Ma se è vero che seguire una dieta può essere anche psicologicamente rassicurante (è sempre rassicurante osservare una regola), è anche vero che non bisogna farlo in giovane età. Forzare i bambini, indirizzarli verso un alimento piuttosto che un altro è addirittura pericoloso. Se la madre non rispetta i gusti alimentari del bambino gli insegna, automaticamente, che bisogna sempre assecondare le aspettative degli altri. Così da piccoli si finisce per mangiare ciò che non piace, e da grandi si finirà per nascondere la propria vera natura, per corrispondere ai canoni sociali. C’è di più: se i genitori non tengono conto dei gusti del bambino gli impediscono, in un certo modo, di scoprire la propria natura, di esercitare il senso del piacere che nasce con la scoperta delle infinite varietà del cibo. E questo sarà un trauma che si porterà dietro per sempre.
Fra cibo e sesso, poi, il rapporto è chiarissimo. Cibo e amore entrano insieme nella nostra vita. E’ un legame antico e primitivo, che affonda le sue radici in una questione molto semplice: la sopravvivenza dell’umanità. Se non si mangia si muore, e se non si fa sesso non ci si riproduce. Con la civiltà si è passati dal dovere di nutrirsi e di accoppiarsi, al piacere di fare entrambe le cose. E di fatto l’organizzazione sociale è avvenuta grazie alla regolamentazione e al controllo del cibo e del sesso. Ancora oggi le espressioni d’affetto fra amanti hanno chiari riferimenti al cibo (“ti mangerei”, “sei dolce come il miele”, e così via…), e tutti i sessuologi sono d’accordo nel mettere in evidenza il legame fra la predisposizione al cibo e quella verso il sesso. Chi è goloso apprezza tutto ciò che dà piacere, e dunque anche il sesso. Chi divora velocemente ciò che ha nel piatto in genere si comporta nello stesso modo nell’intimità, mentre chi non ha mai appetito è probabilmente anche inibito sessualmente . Tanto che secondo i sessuologi (dati del 1994) agli italiani piace molto fare l’amore in cucina (è al secondo posto della classifica, preceduta dalla camera da letto).

Mangiare per lui, mangiare per lei
Comunque siano determinati, i gusti alimentari seguono sempre regole ormai ben definite. Esistono per esempio cibi “maschili”, dal sapore forte e simbolicamente legati al concetto di aggressività (come la carne rossa, il salame, i peperoncini), e altri tipicamente “femminili” (insalata, pesce, frutta). In parte, queste differenze sono dovute alla tradizione: nella cultura contadina che ci ha accompagnati dall’alba dell’umanità fino agli inizi del Novecento, gli uomini hanno sempre avuto bisogno di cibi proteici come la carne, mentre le donne si accontentavano di alimenti poveri. Esistono, però, anche motivazioni più sottili. Da numerose ricerche risulta per esempio che, per il sesso maschile, sbucciare la frutta è imbarazzante (ci si sente “goffi come bambini”) e, visto che gli uomini mangiano bocconi più grandi rispetto alle donne, si sentono a disagio di fronte al pesce, un alimento che richiede piccoli morsi, e con la parte anteriore della bocca, per evitare di ingoiare inavvertitamente qualche spina.

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La voglia di mangiare. Parte 1

Qual è il primo atto di protesta o di ribellione, il primo ricatto affettivo nei confronti dei genitori da parte di un bambino che non sa ancora parlare? Il rifiuto del cibo. Qual è il primo atto di un emigrato giunto in un luogo straniero? Cercare un ristorante che offra i piatti della propria terra o, più semplicemente, coltivare un’erba aromatica sul proprio balcone (come il basilico degli italiani o la molucheia degli egiziani). Qual è il primo atto, nel gioco della seduzione di una coppia? L’invito a cena. Il rapporto con ciò che mangiamo si crea nel momento esatto della nascita.
L’uomo sperimenta il suo primo stato d’ansia dopo poche ore di vita. Il primo pianto del bambino, quello che i pediatri chiamano proprio “fame”, è il nostro primo attacco d’ansia. E la prima poppata è il nostro primo il primo calmante. Grassi e magri, ascetici e golosi, uomini e donne, giovani e vecchi, tutti abbiamo un rapporto intenso, a volte oscuro, sempre determinante con il cibo. Da tempo immemorabile tutti siamo (anche psicologicamente) ciò che mangiamo. Qualche anno fa, in Iran, è stato ritrovato lo scheletro di un uomo dell’età di Neandertal (da 100 a 70 mila anni fa) Intorno a lui c’erano i resti di alcuni vegetali utilizzati durante il rito funebre: otto piante medicinali diverse, ma usate ancora oggi in erboristeria. La conclusione degli studiosi è stata unanime: la capacità di riconoscere istintivamente gli alimenti commestibili, e addirittura quelli “curativi”, risale alla preistoria e si è trasmessa fino a oggi non soltanto per tradizione orale o scritta. Sarebbe addirittura stata impressa nella “memoria genetica” dell’uomo, che capisce, anche senza preventiva informazione, che cosa gli fa bene e che cosa gli fa male: in diverse regioni dell’Africa, i bambini mangiano fango e terra quando hanno carenza di sostanze minerali.

Il primo cibo non si scorda mai
I gusti di ciascuno di noi si delineano nella prima fase della vita. Attraverso il cibo si instaura infatti il primo legame affettivo, cioè quello con la madre. E proprio al cibo, anche quando si è adulti e autonomi nelle scelte, si continua ad attribuire una funzione consolatoria. Quali sono gli alimenti che rassicurano di più, e sono dunque più graditi? Soprattutto quelli che facevano parte della propria dieta nel primo anno di vita, e ai quali si associano per sempre le attenzioni materne. Al contrario, chi da bambino ha provato una sensazione spiacevole (per esempio ha assistito a una violenta lite fra i genitori) mentre stava assaggiando un nuovo cibo, resta condizionato negativamente. Fino al punto di rifiutare per anni quell’alimento. Ecco come nascono le fobie alimentari, cioè l’avversione per la carne, o il formaggio e così via» (Un comportamento analogo si registra, per esempio, tra i malati di tumore e sottoposti a chemioterapia: il cibo assunto prima del trattamento viene in seguito rifiutato. Perché? Inconsciamente, si ritiene che abbia provocato il malessere causato, invece, dalla terapia farmacologica).
Si tratta di una sorta di imprinting alimentare che è stato anche verificato sperimentalmente sui topi: non solo, da piccoli, mangiano più volentieri gli alimenti di cui si cibano gli adulti che provvedono alla loro nutrizione, ma in seguito preferiscono nutrirsi dei cibi dei quali si nutrivano quando erano cuccioli.

Grasso è bello (e pericoloso)
A livello generale, l’uomo d’oggi tende naturalmente al cibo “dolce e grasso”. Le papille gustative della nostra lingua distinguono quattro sapori principali: dolce, salato, acido e amaro, ma già alla nascita il bambino apprezza soprattutto i sapori dolci. Un esperimento compiuto in Germania su un gruppo di neonati che non avevano assunto alcun alimento a eccezione del latte materno ha dato risultati chiari: chi riceveva una soluzione di acqua e zucchero restava calmo e appagato, chi riceveva acqua e sale rifiutava immediatamente il biberon. Se la predilezione per il dolce è innata, quella per il “grasso” sembra acquisita nei secoli. La dieta dell’uomo preistorico era costituita solo per l’11 per cento di lipidi. All’inizio del Novecento eravamo al 14 per cento. Oggi il rapporto oscilla fra il 35 e il 40 per cento. Il grasso aumenta la “palatabilità” dei cibi, li rende più saporiti: dunque siamo spinti all’assunzione di alimenti ipercalorici anche quando non ce n’è bisogno. La contraddizione della moderna alimentazione è in fondo tutta qui: la componente lipidica rende i cibi più piacevoli, ma fa ingrassare, e dunque costringe alla dieta. Ma la dieta è rinuncia al cibo, cioè al principale elemento consolatorio dell’uomo: ciò crea nuova ansia, che porta ad assumere altro cibo, e il cerchio sembra chiudersi in un vortice di nevrosi.

Fra due giorni la seconda parte! Se ti va, nella parte destra del blog puoi cliccare sull’elefantino per iscriverti ai feed o puoi inserire la tua email per ricevere gli articoli nella tua posta elettronica!

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Il sale nascosto nei nostri piatti!

sale

Inutile ribadire che l’ eccesso di sale e di zucchero rappresenta un problema serio per la salute di milioni di consumatori. Molte persone non sanno che la quantità di sale nei cibi industriali è elevata e faticano a percepire anche la presenza di zucchero quando è camuffata, per esempio, dal sapore leggermente amaro del prodotto o dalla temperatura fredda delle bibite. La questione è complessa perché coinvolge buona parte dell’ industria alimentare, che si è dimostrata fino a ora poco disponibile a modificare le ricette e a fornire indicazioni chiare sulle etichette.
La fonte maggiore di sale si trova nei prodotti industriali o nel cibo consumato fuori casa (55%), segue quello aggiunto in cucina (35%) e quello presente nel cibo (10%).
Ma dove si nasconde il sale? Un’ inchiesta su 165 alimenti confezionati pubblicata nel febbraio 2005 dall’ associazione Altroconsumo evidenzia una presenza diffusa in diverse merceologie comprese merendine, biscotti e pan di Spagna.

Pane e grissini

La primaria fonte di sale per gli italiani è costituita dal pane, anche se non è considerato un cibo salato. Nei 14 tipi di pane esaminati da Altroconsumo i valori oscillano da 1,3 a 2,8 g per 100 g. Vuol dire che una persona con un po’ di appetito copre già il fabbisogno giornaliero con la razione quotidiana di pane. Per risolvere il problema, l’ impiego di cracker e grissini è poco vantaggioso: i valori sono simili.

Piatti pronti

Le ricette dei piatti pronti sono volutamente appetitose e ricche di sale per attirare gli acquirenti. Di solito insieme al sale si aggiunge un esaltatore dell’ aroma (il glutammato monosodico) ricco di sodio. Una busta di penne all’ arrabbiata surgelate o una porzione da 200 g di lasagne alla bolognese contengono da 1,6 g a 4,4 g di sale.

Hamburger

I frequentatori di fast food (quindi non i miei lettori…) dovrebbero fare molta attenzione al menù. Un cheeseburger da 200 g contiene il quantitativo di sale pari alla quota massima giornaliera di sale consigliata (6,16 g); un panino con hamburger da 200 g oscilla da 1,6 a 2,7 g; una porzione di pizza Margherita da 200 g contiene da 2,7 a 4,4 g.

Pesce

Solo pochi acquirenti di filetti di merluzzo impanati surgelati sanno che una porzione da 100 di bastoncini contiene da 0,6 a 1,2 g di sale.

Cereali

I cereali per la prima colazione, anche se rientrano nel gruppo degli alimenti considerati salutistici, hanno un contenuto di sale ritenuto elevato, essendo un cibo consumato quotidianamente. Secondo uno studio francese su 32 tipologie, si passa da quote trascurabili a 0,7 g per una porzione da 30 g. Anche nelle merendine si trovano da 0,45 g a 0,03 g per porzione.

Salumi

Passando da un tipo di salume a un altro si registrano notevoli diversità quanto a contenuto di sale. Il salame tipo Milano e il prosciutto crudo contengono dai 2,0 a 2,5 g di sale per ogni porzione da 50 grammi. Va meglio con il prosciutto cotto, che presenta valori dimezzati, e con la mortadella.

Salati ma quanto?

Noi consumiamo dieci grammi di sale al giorno, ne basterebbero due o tre. Secondo l’ Istituto nazionale di ricerca per gli alimenti e la nutrizione gli italiani consumano 10 g di sale al giorno, mentre le linee guida indicano come valore di riferimento 6 g. E’ comunque giusto ricordare che il nostro organismo funziona perfettamente con 2-3 g al giorno. L’ eccesso comporta un incremento della pressione arteriosa e una maggiore incidenza di rischi cardiaci e delle patologie correlate. La questione non interessa solo i malati ma l’ intera popolazione. Il rischio cardiovascolare causato dall’ eccesso di sale si registra anche con valori della pressione arteriosa notevolmente più bassi rispetto a quelli di una persona ipertes. Sul sale poi ci sono molti luoghi comuni da sfatare. Alle mamme dei ragazzini sportivi, per esempio, va ricordato che non è opportuno proporre beveroni dal gusto salato. Gli energy drink risultano inutili persino per i ragazzi e la maggior parte dei professionisti. Il contenuto salino di queste bibite è elevato e per ristabilire l’ equilibrio basta quasi sempre l’ acqua o un succo di frutta diluito o un tè.

Etichette oscure

Capire quanto sale contiene un alimento è difficile. Le poche etichette che riportano i valori nutrizionali nella forma completa indicano il contenuto di sodio (riferita a 100 g). Per risalire alla quantità di sale bisogna moltiplicare il valore per 2,54. Quando nell’ etichetta il sodio non compare è impossibile risalire al contenuto. Su pochissime etichette si trova già il quantitativo di sale.

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