Siamo negli anni del blu. Negli ultimi cinquanta anni sondaggi e ricerche di mercato confermano continuamente il dato: il blu è il colore preferito da oltre il 50 per cento di europei, canadesi, americani e australiani. Seguono il verde (21 per cento), il bianco (10) e il rosso (9). Ultimo, in tutti i Paesi, il marrone. Che cosa c’è dietro a questa scelta? Secondo gli storici è tipico di ogni epoca avere un colore dominante: il bianco e il rosso lo sono stati per i romani, il giallo e l’oro per il Medioevo, il verde e il porpora per il Rinascimento, il nero per il Seicento calvinista e luterano, il bianco abbagliante per il Neoclassicismo ottocentesco. Il blu, infine, per l’età contemporanea. Il caso non c’entra: ogni colore ha precisi significati, che l’uomo gli ha attribuito fin dalla preistoria e che, in linea di massima, tali sono rimasti nel corso del tempo. Secondo questa spiegazione, il prevalere di un certo colore nella società, dunque, significherebbe anche il predominio dei valori che esso porta con sé.
Nella preistoria i colori erano considerati una forza sottile, un anello di congiunzione tra cielo e terra, gli antichi ritenevano addirittura che la connessione tra gli uomini e gli dei si palesasse concretamente nell’arcobaleno, incarnato nel mito greco della dea Iris ed esaltato anche nella Genesi biblica come suggello del patto di alleanza tra Dio e gli uomini, alla fine del diluvio universale. Secondo questa concezione, i colori dell’arcobaleno si sostanziavano nella natura e, con maggior vigore, nelle pietre preziose, che proprio per questo assumevano poteri magici. Pensiamo per esempio alle sepolture preistoriche nelle quali il defunto veniva cosparso con ocra rossa: il rosso si sostituiva al sangue per richiamare le forze vitali che avevano abbandonato il morto, e per proteggerlo nel suo cammino nell’aldilà. Per lo stesso motivo, cioè per rendersi amici gli dei attraverso pratiche magiche, i babilonesi costruivano i loro templi, le ziqqurat, dipingendo ogni piano (erano sei o sette) in un colore diverso. Anche gli egizi attribuivano potere al colore, tanto che per i loro geroglifici utilizzavano l’inchiostro nero con valore positivo, quello rosso con valore negativo. Da allora i colori, proprio perché legati all’intima essenza dell’uomo (gli stessi egizi usavano la medesima parola per dire “colore” e per dire “essere”), hanno assunto un significato simbolico universale, valido in ogni cultura e in ogni epoca. Così oggi il nero significa ovunque morte (oppure il suo contrario, cioè la rigenerazione); il bianco è la luce divina e la purezza; il giallo, prezioso perché assimilato all’oro, è la sacralità; il rosso come valenza positiva è sessualità e vitalità, come valenza negativa il furore; il verde, assimilato al manto vegetale, la fertilità. In tutti i popoli i colori simboleggiano questi valori. Quello che cambia, semmai, è l’atteggiamento che ogni cultura assume nei confronti dello stesso colore: per noi occidentali il nero è il colore funerario, per gli orientali il colore funerario è il bianco. Questo perché noi della morte cogliamo il lato distruttivo, gli orientali invece quello di rinnovamento, di rinascita partendo dal nulla. Un altro esempio: le spose, in Cina, si vestono di rosso. Da noi, in bianco. In Oriente infatti, nel giorno delle nozze, si vuole dare risalto al ruolo sessuale della sposa, da noi invece si vuole sottolinearne la purezza.
E il blu? Il blu, almeno in Occidente, si è imposto molto tardi: soltanto nel Medioevo, quando divenne simbolo della purezza (Giotto fu il primo a dipingere i cieli di azzurro e non più d’oro) e della Madonna. Prima, il blu si confondeva con il nero (Omero utilizzava indifferentemente i due colori) oppure simboleggiava l’eternità, perché si identificava con il cielo, che per tutti è la sede divina. Oggi il blu, in Occidente, evoca soprattutto il colore delle divise, delle uniformi e quindi porta con sé un contenuto di autorità.
1 Pingback