C’è un momento in cui il medico è poco comunicativo, quando deve dire al paziente che deve perdere peso.
Ricercatori della Mayo Clinic di Rochester, Minnesota, hanno recentemente rilasciato i risultati di un sondaggio su oltre 2500 pazienti che hanno effettuato un normale checkup nel corso di questi ultimi anni.
Gli studiosi hanno trovato che solo la cartella clinica di un paziente su 5 indicava quest’ultimo come obeso e ciò che non è scritto sulla cartella probabilmente non è stato neanche comunicato al paziente. La situazione è problematica perché coloro che erano stati diagnosticati come obesi ricevettero un piano alimentare mentre tutti gli altri no.
Il Dr. Warren Thompson, specialista in medicina preventiva, autore dello studio pubblicato in Agosto dalla pubblicazione della Mayo Clinic, ha detto: “ Se non hai un piano alimentare non c’è possibilità di perdere peso”.
L’obesità, come tutti sanno, comporta un alto rischio di malattie cardiache, di diabete, di essere ospedalizzati e di morire precocemente, quindi perché i dottori sono così restii a scrivere una O come obeso bella grossa sulla cartella clinica?
Qualche volta, dice Thompson, i dottore percepisce che il paziente non è motivato a cambiare quindi non si preoccupa; altre volte il probabile imbarazzo del paziente mette a tacere il medico, oppure si presentano limiti di tempo perché si affrontano in primo luogo preoccupazioni legate alla salute più impellenti.
Parlare del peso diventa ancor più complicato con i bambini. In accordo con uno studio del 2005 nel giornale Pediatrics, i medici hanno diagnosticato l’obesità solo nell’ 1% dei ragazzi di età compresa tra i 2 e i 18 anni, percentuale ben lontana del 30% dei ragazzi Americani con problemi di peso.
Dr. Mark Jacobson, specialista in medicina dell’adolescenza dell’ American Academy of Pediatrics, spiega che i genitori potrebbero sentirsi colpevoli di avere un figlio soprappeso poiché loro credono che almeno in parte la causa potrebbe essere genetica e quindi sentono che è loro la responsabilità di controllare la dieta e l’esercizio fisico dei propri figli.
I genitori poi hanno paura che i figli sviluppino un disordine alimentare se gli viene detto che hanno problemi di peso, quindi preferiscono tacere.
Il Dr. Jacobson dice :” ho avuto un paziente la cui madre mi ha sussurrato la parola P-E-S-O con la mano sopra la bocca per non farlo sentire al figlio. Potrei dire quindi che spesso i genitori si preoccupano del peso ma non vogliono parlarne con i figli; i dottori invece devono discutere l’argomento”.
Uno modo per farlo gentilmente può essere quello di evitare la parola obeso ma dire che il bambino ha problemi di peso; il dottore potrebbe dire al bambino che il suo peso è simile a quello di un bambino di due anni più grande di lui. Quindi, dice Jacobson, serve non sottolineare il problema della forma fisica ma focalizzare l’attenzione sui comportamenti che potrebbero migliorare la situazione, come il vedere meno la televisione o il giocare di più all’aperto.
Sempre Jacobson dice: ”Non vuoi fare sentire il paziente imbarazzato perché sai che in questo modo lui non tornerà più; tu vuoi curarlo.” Jacobson insiste sull’uso del BMI per determinare l’obesità almeno come punto di partenza; il Body Mass Index è un indice legato all’altezza e al peso della persona ed è una misurazione imperfetta perché non tiene conto della massa muscolare e del tipo corporeo.
Nessuno di questi argomenti assolve i pazienti dal fare un passo avanti ed iniziare a risolvere il problema del peso. Chiunque sollevi il problema, l’ importante è che il medico o il paziente sappiano che anche una piccola variazione del peso corporeo contribuisce in maniera incisiva a migliorare lo stato del paziente, anche se il dimagrimento sembra minimo.
Questa può essere la migliore ragione per mostrare un po’ di coraggio e dire ciò che va detto… anche se fa un po’ male.
Bibliografia
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