Lo sport ideale? Si chiama triathlon: un misto di corsa, nuoto, bicicletta. Fa bene più di ogni altro, non comporta rischi, è ecologico. Eppure in Italia è sconosciuto: praticato da poco più di 4 mila persone. A decretarlo sport ideale è stato lo studio più completo mai effettuato sui benefici dell’attività sportiva, realizzato da Raimund Sobotka, direttore dell’Istituto di scienza dello sport dell’università di Vienna. Al secondo posto nella speciale classifica da lui redatta è il canottaggio. Al terzo l’atletica leggera. Per arrivare a queste conclusioni Sobotka ha passato in rassegna 50 tra le discipline sportive più diffuse e le ha messe a confronto, utilizzando dati emersi da oltre un centinaio di ricerche scientifiche. Per ogni sport ha vagliato la capacità di migliorare caratteristiche fisiche quali la resistenza, la velocità, la forza, la coordinazione, ha valutato la probabilità di subire infortunarsi o di farsi male e ne ha misurato l’impatto sull’ambiente. Il primo posto del triathlon si deve soprattutto alla completezza atletica e alla regolarità degli sforzi che richiede. Ovviamente, Subotka non pensa certo al triathlon dell’ironman. L’ironman (letteralmente “uomo d’acciaio”) è una famosa gara di triathlon che si svolge ogni anno alle Hawaii: 3,8 chilometri a nuoto nell’oceano Pacifico, 180 chilometri in bicicletta, 42 chilometri e 195 metri di corsa. Il triathlon normalmente praticato è decisamente meno faticoso: una gara media consiste di 750 metri a nuoto, 30 chilometri in bici, 5 chilometri di corsa. Con questa combinazione di attività si coinvolgono tutte le grandi masse muscolari e si sollecita il sistema cardio-vascolare e respiratorio, con uno sforzo regolare e prolungato nel tempo. Nuotando, pedalando e correndo regolarmente si riesce ad abbassare il tasso di colesterolo “cattivo” e ad alzare quello del colesterolo buono, si diminuisce di molto il rischio di ipertensione, obesità, malattie cardiovascolari, infarto, osteoporosi, insonnia, depressione, stati ansiosi. E gli altri sport? Hanno i loro meriti. L’atletica leggera e il canottaggio sono ottimi per la salute. Nuoto, golf e karate sono i meno pericolosi. Il pattinaggio è il più rispettoso dell’ambiente.
E’ sempre meglio non esagerare con gli sport pericolosi
La classifica penalizza decisamente gli sport “pericolosi”: il kayak fluviale ha un ottimo punteggio sotto il profilo del benessere fisico per chi lo pratica, ma crolla in classifica a causa dell’elevata probabilità di farsi male tra scogli affioranti e rapide. Il volo in deltaplano presenta un rischio di incidente mortale 56 volte più elevato di quello del nuoto. Agli ultimi tre posti si classificano snowboard, paracadutismo e volo a vela con alianti. Qualche sorpresa? Lo sci alpino è più sicuro di quanto non si pensi: non corre, sotto il profilo statistico, più pericoli rispetto a chi va in bicicletta o a chi fa pattinaggio sul ghiaccio. Ed è più al sicuro di chi gioca a basket o a pallavolo. Ma lo sport fa sempre e solo bene? «A patto di non esagerare», osserva David Nieman, ricercatore della State university di Boone (Usa). Nieman ha esaminato 2.300 maratoneti e ha scoperto che chi corre per più di 90 chilometri ogni settimana subisce il doppio di infezioni alle prime vie respiratorie rispetto a chi si limita a correre per una trentina di chilometri. E dopo aver concluso una maratona, gli atleti corrono sei volte di più il rischio di avere un raffreddore o un mal di gola rispetto a chi si è allenato allo stesso modo ma non ha partecipato alla gara. Una pratica regolare dello sport migliora le difese immunitarie e diminuisce il numero e la durata delle infezioni, mentre il superallenamento riduce lo scudo immunitario ed espone l’atleta a un maggior numero di episodi infettivi. A definire che cosa significa quantitativamente una “pratica regolare” sono stati i ricercatori dell’università Harvard, negli Usa. Secondo loro bisogna fare sport almeno 2-3 volte alla settimana, fino a consumare circa 2 mila chilocalorie. Pari a 4 ore di jogging, 3 di tennis, una e mezza di calcio.
Anche chi fa sport, nel suo piccolo, distrugge l’ambiente.
Anche le attività sportive più sicure e salutari possono però avere un impatto negativo sull’ambiente in cui vengono praticate. La ricerca di Sobotka ha il merito di aver considerato un aspetto in genere dimenticato dello sport. L’11% di tutti i chilometri percorsi dalle automobili ha, secondo uno studio recente, motivazioni sportive: il che significa che per raggiungere la palestra o il bosco dove fare jogging o la piscina, si immettono nell’aria milioni di tonnellate di anidride carbonica e di ossidi di azoto. Negli ultimi decenni 200 mila ettari di bosco e alpeggio sono stati sacrificati ai comprensori sciistici sulle Alpi e si calcola che siano 850 milioni i kilowattora consumati ogni anno per alimentare gli impianti di risalita del grande lunapark alpino della neve, una quantità di energia elettrica pari a quella utilizzata da 230 mila abitazioni. Dopo recenti proteste, in Alto Adige è stato vietato l’eliski, cioè l’elicottero che porta in cima alle piste, ma sono sempre vive le polemiche degli ambientalisti contro i golfisti, accusati di fare un gran uso di diserbanti per mantenere perfetti i green e sono noti gli attacchi dell’alpinista Reinhold Messner contro chi dissemina le pareti di montagna di migliaia di chiodi da arrampicata o contro le funivie che profanano il monte Bianco. Le proteste dei “verdi” tedeschi hanno avuto successo contro i canoisti bavaresi: la tradizionale discesa del fiume Isar, dal 1921 disputata a primavera, è stata spostata in agosto per non turbare le nidiate della rondine di mare, del piovanello e del martin pescatore.