Psiche e Soma

Ricette per una vita migliore!

Month: luglio 2011

Un attimo di relax #154

Foto, citazione e libro della settimana sono il mio modo per regalarvi un minuto di relax.

“Non sospetta niente”

Nessun vento è favorevole per chi non sa dove andare, ma per noi che sappiamo, anche la brezza sarà preziosa.” ~ Rainer Maria Rilke

Libro della settimana:

Una Mela al Giorno

Cosa fare se…il vostro sangue piace alle zanzare

ANIMALE: zanzara.
ATTACCO: puntura.
PERICOLO: nullo.
SINTOMI: ponfo (ossia lesione del derma con sollevamento della cute) e gonfiore rosso, pruriginoso.
CHE COSA FARE: lavare con acqua, applicare ghiaccio o pomata con antistaminico.
CHE COSA NON FARE: grattare o incidere a croce: provoca un peggioramento della lesione.
NOTE: sono le zanzare femmine che pungono: usano le proteine del sangue per il loro processo riproduttivo. Dopo parere medico, si può assumere vitamina B6 (anche in compresse) un’ora prima del calar del sole: la sua eliminazione attraverso la cute tiene lontane le zanzare, che non amano odori o sapori particolari.

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Un attimo di relax #153

Foto, citazione e libro della settimana sono il mio modo per regalarvi un minuto di relax.

“Vieni vicino così posso accarazzarti”

È vero che non sei responsabile di quello che sei, ma sei responsabile di quello che fai di ciò che sei.” ~ Jean Paul Sartre

Libro della settimana:

La Medicina del Futuro

Cosa fare se… vi punge un’ape o una vespa

ANIMALE: api, vespe e calabroni.
ATTACCO: puntura.
PERICOLO: medio (elevato in caso di shock anafilattico).
SINTOMI: dolore acuto e gonfiore. Nei casi più gravi, anche orticaria e asma bronchiale.
CHE COSA FARE: se l’aculeo è ancora presente, asportarlo, controllando che non rimangano residui. Applicare del ghiaccio. In caso di orticaria, antistaminici. Se si viene punti in bocca, somministrazione endovenosa di cortisone, antistaminici ed eventualmente di adrenalina.
CHE COSA NON FARE: evitare di schiacciare il pungiglione o di rimuoverlo solo parzialmente.
NOTE: sempre più di frequente si verificano shock anafilattici: può esservi una sensibilizzazione nei confronti delle proteine iniettate. È possibile desensibilizzarsi nelle strutture ospedaliere attrezzate. Chi sa di essere allergico alla puntura di questi imenotteri porti sempre con sé una dose di adrenalina: può salvare la vita.

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“Dica 33” parte 2

Ecco la seconda parte del post sui medici di famiglia. La prima parte la trovate QUA.

2. Depresso? Proprio no In altri casi alla base di una corretta diagnosi c’è la conoscenza umana del paziente. M.M., 55 anni, sembrava per esempio essere caduto in depressione. La moglie l’aveva portato da uno psichiatra, che aveva tentato una cura farmacologica. Il suo medico di famiglia, E. M., lo conosceva da vent’anni come un uomo allegro ed estroverso. Quando la moglie lo portò in ambulatorio, capì che era impossibile che soffrisse di una depressione così grave. Constatò anche che M. M. aveva problemi di equilibrio. Mettendo assieme gli elementi, ebbe un sospetto: quell’uomo forse soffriva di un tumore cerebrale, che alterava anche la psiche. Gli esami confermarono la diagnosi: M. M. fu subito ricoverato. E guarì.
3. Corri anche se non credi Quanto infine sia importante una preparazione specifica lo dimostra quest’ultimo caso. Una notte, quando era medico condotto, P. C. sentì bussare alla porta. «Presto, dottore, mia moglie ha un mal di pancia terribile», implorava un agricoltore della zona. P. C. era perplesso: bisognava proprio uscire in piena notte per un semplice mal di pancia? Poi ricordò le parole di un suo docente universitario: «Dolore addominale, dolore precordiale, trauma cranico: correte anche se non ci credete ». Prese la sua valigetta e si incamminò. Scoprì così che il mal di pancia era in realtà provocato dalle doglie: la donna era incinta. P. C. si improvvisò ostetrico e in pochi minuti il bambino nacque

Mal di schiena: da chi vai?
Il medico di famiglia non è un tuttologo. Se dunque il paziente soffre di un disturbo serio, è corretto che consigli di consultare uno specialista. Spesso, tuttavia, i malati scavalcano il medico di famiglia e decidono da soli a chi rivolgersi. Una scelta simile può rivelarsi fonte di guai: se si consulta il professionista sbagliato, si perdono tempo e denaro. Reumatologo? Un esempio classico è il mal di schiena. Il primo dilemma è: ortopedico o reumatologo? Solo il medico di famiglia può dirlo, verificando se il disturbo alle ossa è di tipo infiammatorio – e allora si va dal reumatologo – oppure no. Ma possono esserci altre cause. Gastroenterologo? Un male alla spalla destra, in una particolare posizione, può essere provocato dalla colecisti, l’organo che raccoglie la bile: in questo caso serve un gastroenterologo. O dentista? Anche un problema di masticazione può causare dolori alla schiena: lo specialista giusto è allora il dentista. Un’ulteriore causa può essere un’ernia al disco, da sottoporre a un neurochirurgo.

Vertigini: dal neurologo? La testa gira, si soffre di vertigini: un errore classico è quello di rivolgersi subito a un neurologo. O otoiatra? I disturbi all’equilibrio, in molti casi, sono determinati dalla labirintite, l’infiammazione di una parte dell’orecchio interno, che dev’essere curata da un otoiatra. E i pruriti? Infine, un altro tranello: un prurito alle gambe accompagnato da problemi alla pelle come eczemi o ulcerazioni non è necessariamente un sintomo da sottoporre al
dermatologo. I disturbi possono essere provocati da vene varicose e in tal caso lo specialista giusto è l’angiologo.

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“Dica 33” parte 1

Percuote con le dita, usa vecchi trucchi: ma alla fine il medico di famiglia capisce meglio di chiunque come stiamo. Ecco come fa e perché il suo ruolo è così importante

Qual è la figura più gradita ai cittadini-pazienti all’interno del Servizio sanitario nazionale? Secondo un recente sondaggio, è il medico di famiglia. Sì, è proprio il medico della Usl, il medico di medicina generale, quello che la legge di riforma sanitaria definisce “medico di base”. Una figura cruciale nella tutela della salute. A differenza degli specialisti, infatti, che tendono a guardare al paziente “a pezzi”, cioè a vedere solo il suo cuore, il suo fegato o le sue ossa, il medico di famiglia è l’unico professionista della salute che cura in modo globale, e conosce sia il corpo sia la psiche del paziente.

Settemila esami
Il lavoro del medico di famiglia è profondamente cambiato negli ultimi anni. Una volta il rapporto con i pazienti era ancora più stretto. I vecchi medici condotti, che seguivano un territorio con i suoi abitanti, entravano più spesso nelle case della gente. E magari non avevano bisogno di fare un’anamnesi accurata sulle malattie familiari del paziente perché conoscevano personalmente nonni, zii, parenti. Ma era diversa anche la medicina. Alla fine degli anni ’40, gli esami diagnostici che si potevano prescrivere erano in tutto una decina. Oggi si può arrivare a oltre settemila. È ovvio che in queste condizioni per guarire il malato il medico di famiglia doveva basarsi sulle sue conoscenze teoriche e pratiche.

Diagnosi a base di “erre”
Nella preparazione universitaria veniva data grande importanza alla semeiotica, cioè all’esame del paziente con metodi non strumentali. Un esempio classico è il celebre “dica trentatré”. Attraverso la vibrazione vocale prodotta dalle erre in questa parola, il medico può capire se ci sono malattie a livello del torace, appoggiando semplicemente il margine della mano in alcuni punti. In caso di pleurite con presenza di liquido nei polmoni, per esempio, la vibrazione è molto smorzata. Grande rilievo veniva dato anche alla palpazione di tutto il corpo, all’auscultazione – fatta appoggiando l’orecchio sul torace del paziente – e alla percussione – cioè alla tecnica di battere con un dito sul dito medio dell’altra mano appoggiato sulla parte del corpo da esaminare. I suoni erano la Bibbia del medico di famiglia: al suo orecchio allenato ogni piccola variazione era il biglietto da visita di una malattia. C’erano anche meno farmaci pronti, si davano le indicazioni al farmacista per preparare la medicina giusta.

I nuovi medici europei
I progressi degli ultimi decenni hanno portato a una sempre maggiore frammentazione del sapere medico. Ogni specializzazione – in Italia ce ne sono oltre cento – prevede numerose sottospecialità, con il risultato che i giovani laureati che vanno a fare i medici di base non hanno più la capacità di avere una visione d’insieme dei loro pazienti. Per fortuna la situazione sta cambiando, la legislazione europea, alla quale anche l’Italia si è adeguata dal 1995, ha imposto una preparazione specifica. Per diventare medico di famiglia si deve seguire un corso biennale post-laurea, che prevede anche un tirocinio in un ambulatorio, con un medico che fa da “tutor” . E anche l’università si sta adeguando. È in atto una ristrutturazione del curriculum di studi medici, che darà più spazio alla medicina extraospedaliera e al rapporto con il paziente.

Tre casi esemplari
Predisposizione a capire e conoscere il paziente, grande intuito e capacità di prendere decisioni rapide: sono queste le doti che un bravo medico di famiglia deve avere. In situazioni critiche, infatti, i suo ruolo può rivelarsi cruciale. Ecco alcuni casi esemplari.
1. Sorda, non pazza Talvolta gli specialisti non riescono ad avere dal paziente neppure le informazioni più banali. G. A., 70 anni, colta da vertigini, era ricoverata in ospedale. Si sospettava un problema di tipo neurologico: alle domande dei medici, la donna rispondeva infatti in modo sconclusionato. Fu chiamato M. B., da anni medico di famiglia della donna. Che in un attimo risolse il caso. Come? Urlando le domande nell’orecchio della paziente. La signora infatti era sorda e non l’aveva detto. E questo, oltre a causare incomprensioni, aveva orientato in modo sbagliato la diagnosi. La causa delle vertigini doveva essere cercata nell’orecchio.

Fra due giorni la seconda parte! Se ti va, nella parte destra del blog puoi cliccare sull’elefantino per iscriverti ai feed o puoi inserire la tua email per ricevere gli articoli nella tua posta elettronica!

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Un attimo di relax #152

Foto, citazione e libro della settimana sono il mio modo per regalarvi un minuto di relax.

“Spero che questo sia il bottone dell’autodistruzione”

Una nobile persona attrae persone nobili, e sa come tenerle vicino a sé.” ~ Johann Wolfgang Göethe

Libro della settimana:

La Medicina del Futuro

La memoria del corpo. Parte 2

Ecco la seconda parte del post sulla memoria del corpo. La prima parte la trovate QUA.

Prigionieri della memoria
La griglia che si forma nella mente per effetto del consolidamento della memoria diventa una vera e propria gabbia per chi, a causa di una malattia o di un incidente, ha subìto danni nelle regioni del cervello da cui partono i comandi che ordinano ai muscoli di muoversi. Il malato è prigioniero della memoria del suo corpo» dice Carlo Perfetti, responsabile scientifico del Centro di neuroriabilitazione cognitiva Villa Miari, di Santorso (Vicenza). «Il suo cervello ritiene di potersi muovere come faceva prima».Ma non riesce più a farlo. Perfetti è in Italia il caposcuola di una nuova tecnica di riabilitazione che cerca di modificare il modo di lavorare del cervello «sfruttando la plasticità, cioè la capacità di riorganizzarsi, che gli è propria». La tecnica prevede esercizi che costringono a concentrarsi su ogni piccola parte della sequenza che porta all’esecuzione di un movimento. «Invitiamo i pazienti a compiere gesti non abituali, come toccarsi il naso, ma con il dito mignolo invece che con l’indice. Questo stimola la riorganizzazione delle aree cerebrali ». E il cervello impara a lavorare in un altro modo.

Caccia al fantasma
La plasticità è invece la croce di chi, dopo un’amputazione, continua a percepire l’arto mancante. Questa sensazione, che i medici chiamano “arto fantasma”, è dovuta al fatto che le aree del cervello responsabili delle sensazioni che provenivano da quell’arto continuano a essere innervate. Solo col tempo i nervi che trasportano sensazioni da altre parti del corpo occupano le aree cerebrali rimaste senza… lavoro. Il neuroscienziato americano Vilayanur Ramachandran racconta di un uomo che “sentiva” il braccio amputato ogni volta che rideva: le zone responsabili delle sensazioni della sua guancia ora occupavano quelle che, prima, arrivavano dal braccio. Scoperto il motivo del suo disturbo, l’uomo si disse soddisfatto. Se aveva un prurito all’arto fantasma ora sapeva che gli bastava grattarsi la guancia.

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La memoria del corpo. Parte 1

Un giorno indimenticabile? Quello in cui abbiamo imparato a camminare. Non possiamo ricordare quando e dove è successo, né quante volte eravamo caduti prima di riuscirci. Eppure il cervello non dimenticherà mai quali ordini deve impartire ai muscoli per camminare ed eseguirà il compito senza che ce ne rendiamo conto. È una questione di risparmio. Se ogni volta che muoviamo un passo dovessimo fare attenzione a ogni muscolo, avremmo ben poche possibilità di dedicarci ad altre attività. Ma le azioni che, una volta apprese, diventano automatiche sono parecchie: quando si ha sete, la mano si muove “da sola” verso il bicchiere. Allo stesso modo, si impara a guidare una volta per tutte, e quando si cambia la marcia non ci si concentra più sul movimento del braccio. Né ci si dimentica come si scia o come si va in bicicletta. Ma come fa il cervello a guidare il corpo come un pilota automatico?

Guardando s’impara
Gli inizi possono essere difficili. Quando si impara un gesto nuovo, il cervello scompone la sequenza dei movimenti da eseguire e si concentra sui particolari. Inizialmente si procede per prove ed errori. Chi cade mentre impara ad andare in bicicletta, si sbuccia un ginocchio ma capisce quale movimento non deve fare. A maggio, una ricerca pubblicata sulla rivista scientifica Neuron ha confermato che guardare qualcuno che esegue i gesti che stiamo imparando accelera il nostro apprendimento. Merito dei “neuroni specchio”, scoperti una quindicina di anni fa da Giacomo Rizzolatti, neuroscienziato dell’Università di Parma. «Queste cellule si attivano vedendo una determinata scena, e preparano il cervello a eseguire gli stessi movimenti che stiamo osservando» spiega. L’attività dei neuroni specchio, infatti, si ripeterà con lo stesso schema anche quando il cervello ordinerà ai muscoli di muoversi. Quando il compito riesce, il cervello registra il successo e, nelle 6 ore che seguono, lavora per memorizzare la sequenza esatta dei movimenti eseguiti. È come se il sistema nervoso schiacciasse il pulsante “salva” per depositare il file nel suo hard disk. Sono 6 ore davvero critiche, durante le quali il cervello va lasciato tranquillo. È infatti dimostrato che chi cerca di imparare un ulteriore compito in quel periodo dimentica il precedente. Per questo ai maestri di tennis, per esempio, si consiglia di non impostare mai nello stesso giorno sia il dritto sia il rovescio. La memoria diventa più stabile con una bella dormita. E si consolida ulteriormente se il gesto viene ripetuto nei giorni seguenti. Lentamente le connessioni nervose che permettono di eseguire correttamente il compito si stabilizzano. Il movimento si fa più fluido e si può lavorare per renderlo più preciso. Alla fine diventa automatico, e non si dimentica più.

Ballare a occhio
Una volta che la memoria è consolidata, neppure la volontà più ferrea può scalfirla: e questo, a volte, può essere un problema. Per esempio, quando la lezione appresa era sbagliata! Qualche spazio di manovra, però, resta se siamo costretti a cambiare schema. Anche quando i movimenti diventano automatici, i nostri sensi sono sempre tesi a recepire ciò che accade attorno a noi; per questo, se lungo un percorso abituale ci avvicina un individuo sospetto acceleriamo l’andatura. A rafforzare la memoria dei gesti contribuiscono le informazioni che arrivano al cervello dalle articolazioni, dai tendini e dai muscoli. Qui, infatti, si trovano piccole strutture, i propriocettori, che tengono il cervello al corrente sulla posizione del corpo e gli dicono a che punto è il movimento. Si conosce un solo caso di un uomo che, in seguito a un’infezione, ha perso del tutto la propriocezione: è rimasto immobilizzato per mesi, finché ha capito che poteva sostituire i messaggi che il cervello riceve dai muscoli con quelli che provengono dagli occhi. Così ha reimparato a camminare, ma deve guardare a ogni passo dove mette i piedi e non perdere mai la concentrazione… La propriocezione è fondamentale per i ballerini: i messaggi che partono dai muscoli impiegano circa 60 millesimi di secondo a raggiungere il cervello, mentre gli stimoli visivi hanno bisogno di 10 millesimi di secondo in più. Per questo, i ballerini che si affidano troppo alle immagini che rimanda loro lo specchio sulla parete, sono meno bravi di quelli che si concentrano sui movimenti del corpo. In mancanza di muscoli, invece, i robot si affidano alla vista e all’udito per muoversi. Telecamere e sonar inviano all’elaboratore centrale le informazioni sull’ambiente e sulla posizione del robot, permettendogli di muoversi senza inciampare. Come fa il robot Asimo, della Honda. Mentre Rabbit, sviluppato dal Consiglio nazionale delle ricerche francese e dall’Università del Michigan (Usa), sa riacquistare l’equilibrio se viene spinto. Con un programma adeguato, un robot potrebbe eseguire anche sequenze di movimenti complessi. Per i ballerini, invece, non c’è programma che tenga: bisogna esercitarsi continuamente per mantenere in forma articolazioni e muscoli e per tenere a mente i passi delle coreografie. Accade lo stesso ai pianisti: resta la memoria della tecnica di base, ma l’agilità delle dita si perde e si dimenticano anche le note e i passaggi di un brano.

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Un attimo di relax #151

Foto, citazione e libro della settimana sono il mio modo per regalarvi un minuto di relax.

“Le persone che vivono in case piene di finestre non dovrebbero mai diventare nudisti!”

Non ho paura di morire. É solo che non vorrei essere li quando questo succede.” ~ Woody Allen

Libro della settimana:

Massaggio da Ufficio

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