Psiche e Soma

Ricette per una vita migliore!

Month: aprile 2011 (Page 1 of 2)

Come si giudica la bontà dell’olio di oliva?

Oggi un’altra domanda e risposta della rubrica: Psichesoma Answers!

In questa rubrica troverete risposta alle domande che mi avete posto via email e che ho reputato essere di interesse generale.

D. Come si giudica la bontà dell’olio di oliva?
R. La bontà dell’olio d’oliva si giudica sia in base alle sue proprietà chimico-fisiche, sia per le qualità organolettiche (sapore, odore e colore). Il valore dei principali parametri è fissato per legge e varia a seconda delle diverse categorie: olio extravergine, di prima spremitura e privo di difetti; olio vergine, olio d’oliva, e olio lampante. Tra i vari parametri, uno dei più importanti è l’acidità: più è alta e più rapidamente decade la qualità dell’olio a causa di alterazioni chimiche. I migliori oli hanno acidità inferiore a 0,3% (l’acidità massima consentita per legge per l’olio extravergine è di 1%). Altri parametri importanti sono il numero di perossidi (devono essere meno di 20), il colesterolo (inferiore a 0,5%), l’estradiolo e l’uvaolo (inferiori al 4,5%), che indicano eventuali adulterazioni con oli di sansa o oli estratti chimicamente e non per spremitura meccanica. Un olio però può essere genuino e tipico ma avere una qualità non proprio eccellente, e non rispecchiare caratteristiche organolettiche ben definite e riconosciute. Per questo esistono assaggiatori professionisti che danno un punteggio in base al gusto e al profumo. Buona regola è quella di preferire bottiglie dal vetro scuro o fasciate: la luce infatti altera l’olio.
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Energie dolci. Parte 2

Ecco la seconda parte del post sulle energie dolci. La prima parte la trovate QUA.

Pioggia di farro
Nella Roma del I secolo a. C. i chicchi di grano diventarono farina, con cui erano cotti dolcetti di miele e frutta. Era il rito della confarreatio, una delle forme del matrimonio romano: per celebrarlo, i dolci di farro venivano prima sbriciolati sul capo della sposa e poi mangiati dai coniugi come auspicio d’abbondanza. Nel Medioevo, invece, si usava ammucchiare i biscotti e i pasticcini portati dagli invitati: più alto era il cumulo, maggiore sarebbe stata la felicità dei coniugi. Da questa “montagnola” nacque, nel XVII secolo, la torta glassata a più piani, anch’essa ricca di significati: la forma circolare rappresenta la protezione divina, i diversi strati sono le scale della vita da affrontare insieme e i cigni sulla cima rappresentano la fedeltà coniugale. Oltre a essere meno elaborati, però, i dolci del passato differivano da quelli moderni perché non contenevano zucchero. Importato dalle Americhe dopo il ’500, per altri 200 anni non fu usato per il suo costo esorbitante. Al suo posto, si usava il miele. Ecco perché nel Medioevo furono soprattutto i monasteri, che panificavano e praticavano l’apicoltura, a creare nuove preparazioni come marzapane, cialde, ofelle e frittelle.

Il gelato di Abramo
La pasticceria moderna è nata nel ’700 in Francia. E anche l’abitudine di mangiare il dolce a fine pasto fu introdotta Oltralpe, nell’800, con il rito del dessert (da desservir, sparecchiare). Prima i dolci si consumavano durante tutto il pranzo. Nel Rinascimento, per esempio, i banchetti si aprivano con il “servizio di credenza” (antipasto) in cui la parte del leone la facevano proprio i dolci. Oggi di questa consuetudine rimane il sorbetto, servito nei pranzi fra una portata e l’altra. Anche questa ricetta, da cui deriva il gelato moderno, ha una storia antica: nell’Antico Testamento, Isacco offrì al padre Abramo latte di capra mista a neve per ristorarlo dalla calura. Solo in tempi recenti il dolce, prima riservato alle occasioni speciali, è diventato un cibo di tutti i giorni. Per la gioia dei golosi, che devono però vedersela con i problemi di linea. Anche se, secondo Speciani, ciò che fa ingrassare non sono tanto le calorie in più o in meno, ma la velocità con cui sono assunte. Gli uomini preistorici avevano un rialzo glicemico solo dopo aver trovato una scorta alimentare illimitata, per esempio dopo una caccia all’elefante. Così accumulavano più cibo possibile come grasso di scorta. Oggi un dolce ricco di zuccheri ad alta assimilabilità dà al nostro organismo lo stesso segnale, ma non abbiamo più bisogno di accumulare grassi in vista delle carestie. E non va bene neppure consumare i dolci a fine pasto, non tanto per l’associazione dei cibi, quanto per la quantità complessiva di carboidrati che si assumono.

Crostata milionaria
Con una storia così ricca e piena di simboli, è inevitabile che i dolci stuzzichino anche la fantasia: basti pensare alla casetta di marzapane nella favola di Hänsel e Gretel, o agli effetti magici del cioccolato nel film Chocolat di Lasse Hallström. E, dulcis in fundo, la loro difficoltà di preparazione stimola sfide incredibili: dalla torta di frutta decorata con 223 piccoli diamanti in Giappone nel 2005 (valore: 1,65 milioni di $) alla più lunga torta del mondo (2,663 km) preparata a Johannesburg, in Sudafrica, nel 2005. Più dolce di così!

Gelato all’azoto, crema ai moscerini e insetti canditi
Vi piace essere originali anche in cucina? Allora provate a cimentarvi con il gelato estemporaneo, una delizia della cucina molecolare: si prepara all’istante, basta versare in una zuppiera uova, zucchero, latte, panna ed emulsionare il tutto con azoto liquido (a –195 °C).
Fresco. La crema che se ne ottiene ha la consistenza vellutata del gelato, con una morbidezza particolare data dai cristalli di ghiaccio più piccoli del normale. In più, rinfresca la bocca senza gelarla e senza comprometterne la sensibilità. Unico inconveniente: per conservare l’azoto liquido, che di per sé non è caro, occorrono speciali bidoncini che costano dai 500 ai 1.000 euro ciascuno.
Lecca lecca. Sono decisamente meno care la crema pasticciera alle uova di drosofila (i moscerini che volano intorno alla frutta matura) o le cavallette al cioccolato: entrambe le ricette sono citate nel libro di Bruno Comby, Insetti che bontà, un manifesto a favore dell’entomofagia edito da Piemme. Ma se non avete voglia di affaccendarvi fra pentole e fornelli, potete rimediare visitando il sito web della Hotlix dove, insieme a dolci più tradizionali, si possono ordinare bustine di insetti canditi o ricoperti al cioccolato. Il pezzo forte? I lecca lecca con larve, grilli o scorpioni visibili in trasparenza.

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Energie dolci. Parte 1

Torte alla crema, ciambelle, brioches. E poi canditi, bignè, merendine: paste frolle e sfoglie. Per non parlare dei gelati e delle mille ricette a base di cioccolato… Resistere alle lusinghe dei dolci è quasi impossibile. Non a caso, secondo l’Aidi (Associazione industrie dolciarie italiane), ne mangiamo quasi 25 kg a testa l’anno fra prodotti da forno (14,66 kg), cioccolato (4,34), gelato (3,66), caramelle e confetti (2,13). In pratica, 68,5 grammi al giorno: non male, ma poco in confronto agli inglesi (160 g al giorno), ai danesi (113 g) e ai finlandesi (107,4 g)… Ma perché i dolci ci piacciono così tanto? Sono pericolosi per la salute? E chi li ha creati? Anche se i dessert sono un’invenzione degli ultimi 3 secoli, l’attrazione per il dolce è antica quanto l’uomo. A partire dalla nascita: il latte materno è il primo dolce che assaggiamo. E il dolce è il primo gusto che percepiamo sulla punta della lingua.

Fame chimica
Ma c’è di più. Nella preistoria l’ominide che avesse preferito una foglia d’insalata a un fico maturo, ricco di zucchero e ad alto valore energetico, non sarebbe sopravvissuto alla prima carestia. Il ricordo di questo comportamento, insomma, è rimasto nella memoria genetica dell’uomo. Mangiare dolci è gratificante: ci fa sentire bene. Un effetto non solo psicologico, dato che i dolci innescano una cascata di reazioni biochimiche: l’insulina, ormone che controlla la quantità di glucosio nell’organismo, da una parte eleva i livelli di endorfine (sostanze analgesiche ed eccitanti prodotte dal cervello: è il premio evolutivo al successo nella raccolta di cibo calorico) e dall’altra rilascia nel sangue triptofano, un precursore della serotonina, il neurotrasmettitore della “felicità”. L’eccesso di stimolo, tuttavia, come in ogni dipendenza genera resistenza e richiede dosaggi sempre maggiori, con inevitabile acquisto di peso. Ovvero: un po’ di dolce fa bene, ma attenzione a non strafare.

Pappe, Egizi e Babilonesi
Ma quando sono stati inventati i dolciumi? I primi a vedere la luce sono stati i biscotti: sono apparsi all’epoca della prima agricoltura, durante il Neolitico, quando una “pappa” di cereali lasciati a macerare nell’acqua cadde accidentalmente su pietre arroventate dal fuoco. Era solo l’inizio: da allora, i dolci sono apparsi nei banchetti dei Babilonesi (la famiglia reale mangiava pasticcini zuccherati al miele e cotti in appositi stampi), degli Egizi (una torta sotto vuoto di latte, sesamo e miele è stata trovata nella tomba del faraone Pepionkh, vissuto nel 2200 a. C.) e dei Greci, che offrivano ad Artemide ciambelle a mezzaluna. Nell’antica Roma, Marco Porcio Catone (234-149 a. C.) nel De Agricoltura tramanda la ricetta del savillum, una torta al formaggio con farina, miele e uova. La nascita del dolce vero e proprio, però, è legata all’evoluzione della panificazione. È un arricchimento del pane: in occasione di celebrazioni o riti, per esempio al passaggio di stagione, si aggiungevano all’impasto prodotti del territorio, come frutta secca e uva passita.

E la pillola va giù
In più, la preparazione dei dolci, con l’impasto di molti ingredienti e l’incognita della riuscita, somiglia a un rito magico. Le prime preparazioni, dunque, erano riservate a solennità e alle offerte agli dèi. Usanza che in parte sopravvive, visto che esistono ancora dolci specifici per diverse ricorrenze. In ogni cultura il dolce rappresenta un premio che l’uomo si è dato per festeggiare qualcosa. E ha valori simbolici. Il dolce natalizio (come il panettone) si spinge verso l’alto perché si avvicina al Divino. Quello pasquale, invece, è più attorcigliato su se stesso, più legato alla terra e alla morte. Così come quelli a forma di ossa, tuttora in uso in diverse regioni italiane per celebrare le festività dei morti. Ma ai dolci si dava anche la forma di animali sacri: come l’agnello, simbolo di prolificità e del cristianesimo. Anche caramelle, canditi e confetti hanno una lunga storia. L’uso di ricoprire noci o mandorle di una miscela di miele, farina e gomma naturale risalirebbe già all’Impero romano. E, intorno al 1200, frutta e chicchi aromatici rivestiti di miele indurito furono apprezzati dai nobili, che li conservano come gioielli in preziosi cofanetti: le future bomboniere. Mentre dalla consuetudine di nascondere con la copertura di miele il cattivo sapore di erbe curative derivano le moderne pillole medicinali.

Fra due giorni la seconda parte! Se ti va, nella parte destra del blog puoi cliccare sull’elefantino per iscriverti ai feed o puoi inserire la tua email per ricevere gli articoli nella tua posta elettronica!

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Un attimo di relax #142

Foto, citazione e libro della settimana sono il mio modo per regalarvi un minuto di relax.

“Ti avevo preso un uovo di pasqua, ma l’ho mangiato io…”

Buona Pasqua!

Ogni partito esiste per il popolo e non per se stesso.” ~ Konrad Adenauer

Libro della settimana:

Pasqua Creativa

Da quando ci laviamo i denti?

Oggi un’altra domanda e risposta della rubrica: Psichesoma Answers!

In questa rubrica troverete risposta alle domande che mi avete posto via email e che ho reputato essere di interesse generale.

D. Da quando ci laviamo i denti?
R. La cura dei denti è un’abitudine molto antica: recentemente sono stati trovati denti fossili di ominidi, risalenti a 1,8 milioni di anni fa, segnati da piccoli solchi dovuti all’uso di rudimentali stuzzicadenti, realizzati con robusti steli di erbe. Le prime testimonianze storiche di una regolare pulizia dei denti risalgono però ai Babilonesi, che a questo scopo masticavano un bastoncino di legno dalle proprietà antibatteriche. La pratica è ancora oggi in uso in India e nei Paesi islamici, che utilizzano il miswak, ovvero un bastoncino dell’arbusto sempreverde Salvadora persica. Il primo vero spazzolino da denti fu costruito per l’imperatore cinese Chu Yu-T’ang nel 1498, ed era costituito da setole di maiale conficcate in un manico d’osso. Proprio in Cina, peraltro, era stato inventato il dentifricio, intorno al 500 a.C. Alla fine del ’700 gli spazzolini giunsero in Europa e Giappone ma, a causa della durezza delle setole e dell’elevato costo, non entrarono nell’uso comune. Solo nel 1938, quando la Dupont introdusse le più economiche setole di nylon, lo spazzolino da denti divenne alla portata di tutti.

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Siete distratti? Parte 3.

Ecco la terza parte del post sulla memoria. La prima parte la trovate QUA, la seconda QUA.

Schedario del futuro
Impegni, telefonate, scadenze da rispettare sono tutte informazioni che vengono custodite in questo particolare archivio del nostro cervello, una specie di schedario dei programmi e delle intenzioni future. E dimenticarsene non è poi così difficile: se infatti nulla ci segnalasse di compiere quell’azione, come una nota sull’agenda o, appunto, un nodo al fazzoletto, la nostra memoria prospettica rimarrebbe disattivata e, di conseguenza, fallirebbe.

Meglio i farmaci o l’agenda?
Si possono combattere la stanchezza e l’arteriosclerosi, dicono gli esperti, ma per la distrazione di tutti i giorni i rimedi sono davvero pochi.
Allarme.
L’essere disattenti rientra infatti nella normalità e solo casi estremi devono allarmarci, come piccole e ripetute amnesie che, a una certa età, possono segnalare l’inizio di qualche patologia vascolare.
Placebo.
In commercio esistono tuttavia vari tipi di farmaci o integratori a base di zuccheri o fosfati: sostanze che già esistono nel nostro organismo e che, se assunte regolarmente per un paio di mesi, agirebbero come stimolatori dell’attività neurologica, arricchendo il “carburante” che il cervello utilizza per lavorare. In realtà, assicurano i medici, hanno un effetto praticamente impercettibile, tanto da poter essere definiti veri e propri placebo. Per capire meglio, due tazzine di caffè, nel breve periodo, sono molto più efficaci di qualunque farmaco di questo tipo nell’elevare i livelli di attenzione e la capacità di rimanere concentrati.
Automatismi.
Ci sono poi tecniche riabilitative della cosiddetta “memoria prospettica”, che oggi vengono per lo più sperimentate per patologie come l’Alzheimer: in pratica si cerca di rendere automatiche determinate azioni, che comunemente non lo sarebbero. Infine, una soluzione agli appuntamenti mancati potrebbe essere la classica agenda, ma non prima di aver imparato a consultarla con una certa frequenza.

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Siete distratti? Parte 2.

Ecco la seconda parte del post sulla memoria. La prima parte la trovate QUA.

Il confine della distrazione
Ma esiste un confine, nell’essere distratti, tra normalità e anormalità? Immaginiamo di dover cuocere un arrosto in forno e di doverlo togliere dopo circa 30 minuti. Durante l’attesa, nella nostra mente si attiva una sorta di orologio psicologico, attraverso il quale controlleremo periodicamente i minuti che passano. Se attendiamo ospiti per cena i monitoraggi saranno più frequenti e difficilmente ci capiterà di bruciare l’arrosto. Viceversa, se l’arrosto lo dovessimo mangiare da soli, anche l’attenzione calerebbe e una telefonata potrebbe essere sufficiente per farcene dimenticare, poiché le ricadute sociali, e il giudizio che ne conseguirebbe, sarebbero trascurabili. Se poi, invece di infornarlo, mettessimo l’arrosto in frigo, apparirebbe chiaro un disinteresse nei confronti del cibo o un eccessivo coinvolgimento emotivo in altre questioni. E fin qui tutto sarebbe nella norma. Se però l’arrosto lo sistemassimo nell’armadio e a fine serata fossimo convinti di averlo mangiato, allora sì che dovremmo preoccuparci. Potremmo essere infatti in presenza di una patologia fisica come quelle, di sorprendente drammaticità, descritte dal neurologo americano Oliver Sacks in alcuni dei suoi libri. Alzheimer, arteriosclerosi o tumori al cervello sono infatti capaci di provocare sbadataggini anche molto gravi, dovute a veri e propri malfunzionamenti del nostro cervello.

Cos’è una sedia?
Sacks, per esempio, racconta di un paziente psichicamente sano ma affetto da un male gravissimo, che confondeva la scarpa con il piede, gli idranti con altrettanti bambini e la propria moglie con un attaccapanni. Altri casi, poi, riguardano persone che, ferite alla testa, risultavano in grado di riconoscere gli oggetti, come una sedia o un computer, ma per un tempo più o meno lungo erano incapaci di ricordare l’uso che se ne può fare.
Infine, tra le cause della sbadataggine, da non trascurare è la stanchezza che, alterando i processi neurochimici, può rallentare sensibilmente i tempi di reazione, facendoci così apparire assenti e dunque distratti. Quando mancano le energie, inoltre, si riduce considerevolmente il nostro interesse per tutto ciò che comporta un’ulteriore fatica: dover cambiare direzione per evitare di schiacciare un giocattolo abbandonato per terra può per esempio sembrarci, inconsciamente, poco importante. Risultato: una caduta e un giocattolo rotto. Che sbadataggine!

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Un attimo di relax #141

Foto, citazione e libro della settimana sono il mio modo per regalarvi un minuto di relax.

“Torna a casa appena puoi.”

La più grande lezione nella vita è sapere che anche i pazzi alle volte hanno ragione.” ~ Winston Churchill

Libro della settimana:

Da Buddha ai Beatles

Perché a volte si starnutisce fissando con lo sguardo una luce intensa?

Oggi un’altra domanda e risposta della rubrica: Psichesoma Answers!

In questa rubrica troverete risposta alle domande che mi avete posto via email e che ho reputato essere di interesse generale.

D. Perché a volte si starnutisce fissando con lo sguardo una luce intensa?
R. Lo starnuto rappresenta una reazione neuromuscolare alle stimolazioni della mucosa nasale. Quando un irritante (pulviscolo, polline, virus, batteri) viene a contatto con la mucosa partono impulsi che raggiungono il ponte (una parte del sistema nervoso centrale) attraverso il nervo trigemino. Alcuni aspetti di questa “difesa dagli intrusi” non sono però ancora del tutto chiariti. È comunque spesso vero che, fissando una luce intensa, si starnutisce più facilmente. Esiste infatti un cosiddetto “starnuto fotico”, che potrebbe essere provocato da impulsi trasportati attraverso fibre ottiche del sistema nervoso parasimpatico all’ipotalamo e da fibre parasimpatiche nasali.

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Siete distratti? Parte 1.

Dimenticate appuntamenti importanti o di acquistare il regalo di compleanno per il partner? Un nodo al fazzoletto è il rimedio più efficace, oltre che il più classico. Lo sostengono tre ricercatori statunitensi che, rielaborando una vecchia teoria, hanno qualche anno fa scoperto che cosa succede nella nostra mente quando, per non scordare qualcosa, ricorriamo a sistemi del genere. In pratica, secondo Mark Mc- Daniel, Bridget Robinson- Riegler e Gilles O. Einstein, delle università del Nuovo Messico e della Carolina del Sud, è come se la nostra memoria archiviasse nello stesso cassetto l’evento da ricordare e l’indizio o il suggerimento esterno che ci siamo creati. Quando poi rivediamo l’indizio,o il nodo al fazzoletto, l’informazione viene recuperata dall’ippocampo, una particolare area del cervello, e automaticamente inviata alla coscienza. Naturalmente, quanto più bizzarro è l’indizio tanto meglio funziona il trucco.

Genio senza pantaloni
Non sempre, tuttavia, la sbadataggine è dovuta alla smemoratezza. E lo dimostrano molti esempi tratti dalla vita di ogni giorno: dal pedone che, immerso nella lettura del giornale, attraversa l’incrocio con il rosso, allo studente che chiama la fidanzata con il nome della ex. Per ciascuna di queste sbadataggini, dalle quali ben pochi di noi sono immuni, esiste anche una spiegazione psicanalitica: il rifiuto inconscio di un certo compito, per esempio,oppure il desiderio di trasgressione o, al contrario, quello di punizione. Quale che ne sia la causa, la distrazione colpisce tutti, anche le personalità più straordinarie. Anzi, la storia è piena di artisti e scienziati disattenti, primo fra tutti il fisico Albert Einstein, che un giorno, mentre stava elaborando la teoria della relatività, uscì di casa per fare due passi dimenticando di indossare i pantaloni.

Ma che cos’è davvero la distrazione?
Bisogna innanzi tutto distinguere lo sbadato smemorato da quello disattento, e considerarne le implicazioni sociali. Per esempio, un brillante manager che al mattino si presentasse in ufficio con i calzini spaiati sarebbe considerato un gran distratto, ma non certo debole di memoria. Al momento di vestirsi, i suoi pensieri erano con ogni probabilità diretti altrove, presumibilmente a un problema di lavoro. E nella particolare scala di valori di questa persona, l’importanza dei calzini intonati è agli ultimi posti. Altri, con una scala di valori diversa, probabilmente arriveranno in ufficio vestiti alla perfezione,ma magari dopo aver perso l’autobus.

Turbamenti d’amore
Esiste anche un’altra spiegazione di alcune distrazioni. La nostra mente sarebbe infatti dotata di una sorta di serbatoio di attenzione: quando svolgiamo contemporaneamente due compiti, o quando siamo innamorati o fortemente coinvolti in un lavoro, il serbatoio va in riserva e noi non siamo più in grado di tenere sotto controllo le nostre azioni. Pensiamo, per capire meglio, a quanto difficile sia, per un automobilista alle prime armi, persino guidare e abbassare il finestrino allo stesso tempo. Quando si parla della distrazione dei geni il meccanismo che entra in gioco è esattamente questo: grandissima attenzione per il proprio lavoro e totale disinteresse per il resto del mondo. L’unica differenza è, ovviamente, che la sbadataggine di Einstein fa più notizia di quella di un signor Rossi qualsiasi. Bisogna tener conto anche di un altro meccanismo, quello dell’analisi sociale. Infatti i calzini spaiati, salvo casi eccezionali, fanno tutt’al più sorridere, ma le cose cambiano se ci si dimentica una data o un appuntamento importante: il colpevole subisce una vera e propria condanna sociale. È in occasioni come queste, che la distrazione coincide con la smemoratezza, in questi casi “fallisce la memoria prospettica”.

Automatismi scambiati
Esiste ancora un’altra categoria di distrazioni, che niente hanno a che vedere con la memoria e solo in parte con l’attenzione. Immaginiamo, per esempio, di confondere al mattino la schiuma da barba con il dentifricio. In questo caso la spiegazione sta nel fatto che per molte delle nostre azioni quotidiane inseriamo una sorta di pilota automatico e se si è soprappensiero non è raro che un automatismo si sostituisca a un altro. Qualcosa di simile accade quando una persona, diretta in palestra alla guida della propria automobile, si distrae parlando col passeggero e, senza rendersene conto, va verso l’ufficio, seguendo la strada che compie quotidianamente da molti anni. Insomma, l’automatismo prende il sopravvento sull’intenzione.

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