Psiche e Soma

Ricette per una vita migliore!

Month: ottobre 2010

Le fasi di sviluppo di un farmaco.

Ecco una breve descrizione delle 10 fasi in cui viene sviluppato un farmaco:

1. Test di laboratorio individuano una molecola che ha effetto su cellule in cultura; 2. la si sperimenta su animali; 3. su volontari sani si valuta la tossicità; 4. test su malati ne valutano l’efficacia, confrontata rispetto al placebo, cioè all’acqua. Secondo gli esperti sarebbe meglio testarla rispetto a un altro farmaco (che si sa efficace) per valutare se c’è un vero progresso. Si passa alla fase di approvazione. 5. La documentazione favorevole al farmaco viene portata all’Emea (Agenzia europea per la valutazione dei farmaci), che non dipende dalla Sanità, ma dall’industria ed è finanziata al 70% dalle ditte farmaceutiche. Se la documentazione, che resta segreta, viene considerata adeguata, il farmaco viene approvato. 6. Poi la documentazione va all’Aifa (Agenzia del farmaco) che fissa prezzo ed eventuale rimborso del Servizio Sanitario Nazionale. 7. Il ministro della Sanità firma il decreto. 8. Nel frattempo ai congressi medici i relatori finanziati dall’azienda parlano da tempo della terapia per convincere i medici a prescriverla. Contemporaneamente gli uffici stampa delle aziende ospitano i giornalisti a tavole rotonde e simposi, spesso all’estero. I relatori sono ricercatori apparentemente neutri, ma spesso sono pagati dall’azienda per reclamizzare solo i vantaggi della nuova terapia ed enfatizzare i rischi e le dimensioni della malattia, a volte costruita “ad hoc”per il nuovo farmaco: se nell’articolo di un giornale non ci sono voci critiche, fuori dal coro, è probabile che la fonte sia solo quella pagata dall’azienda farmaceutica. 9. Alla fine. il farmaco arriva in farmacia. A questo punto si muovono gli informatori farmaceutici che visitano i medici nei loro studi e cominciano a vantare i vantaggi di quella molecola rispetto alle concorrenti presenti sul mercato per aumentarne la prescrizione. 10. Poi a distanza di anni arrivano i generici: in Italia più tardi che altrove. Il brevetto di un farmaco non dura 20 anni, ma 38, un vero record europeo, grazie a un certificato di protezione complementare che ha esteso la durata della copertura sull’84% dei farmaci in vendita.

Sembra solo a me o c’è davvero qualcosa che non quadra? Su quale punto agireste per migliorare questa catena di passaggi?

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Grasso al punto giusto?

Si trova negli ingranaggi delle auto, sulle ali degli uccelli, e naturalmente in pentola. Ma quello che ci dà più fastidio se ne sta lì, intorno alla vita o ai fianchi, immobile quanto basta per costituire l’incubo di chi aspira a indossare il costume da bagno senza provocare ilarità. Tutta apparenza: il “rotolino” non è affatto inattivo! Anzi: il grasso si comporta come un organo a sé stante, che scambia continuamente informazioni con il cervello, cresce e si difende dagli assalitori (le diete).

Se si nasconde è buono
E non c’è chi non ne abbia almeno un po’. Basta prendere la pelle tra due dita per accorgersi che uno strato compatto di ciccia (più o meno sottile) si trova proprio sotto la cute. Si calcola che un ragazzo venticinquenne in perfetta forma che pesa 70 chili si porti addosso (nascosti) ben 10-11 chili di adipe: il 15 per cento del proprio corpo. E la percentuale sale nelle donne fino a raggiungere il 20-25 per cento del peso corporeo. Niente paura, però: quella che non si vede è ciccia “buona”, utile all’organismo. Serve a proteggere gli organi interni dagli urti, a evitare eccessive dispersioni di calore e naturalmente ad accumulare scorte d’energia (basterebbe per 20-30 giorni di digiuno). Il guaio, però, è che l’adipe tende a “prendere troppo sul serio” il proprio compito e a crescere fino a diventare evidente: al primo rotolino, segue presto un secondo e se non si corre ai ripari si finisce per ritrovarsi con una o più decine di chili di troppo. Perché? Non siamo geneticamente programmati per l’abbondanza: l’evoluzione non aveva certo previsto i fast food. Al contrario: il metabolismo umano è regolato per sopravvivere alle carestie. Ecco perché il corpo cerca disperatamente di arricchirsi di energia in attesa di periodi di magra che oggi, nel mondo occidentale, non arriveranno mai.

Recupero con gli interessi
Ognuno di noi possiede circa 600 miliardi di adipociti, cellule-dispensa dove l’organismo accumula l’energia che non è costretto a consumare subito. Si trovano sottopelle e tra i visceri, nell’addome: possono aumentare enormemente il proprio volume a mano a mano che si riempiono di grassi. Il tessuto adiposo formato da queste cellule ha la consistenza di una spugna umida, attraversata da nervi e da una fitta rete di vasi sanguigni. Visto al microscopio sembra un immenso accumulo di bolle gialle (gli adipociti).Teoricamente si può ingrassare a dismisura perché le cellule adipose quando non riescono più a ingrossarsi cominciano a riprodursi, aumentando di numero (accade quando la massa grassa supera i 30 chili di peso). L’uomo più grasso del mondo (l’americano John Minnoch, morto nel 1983) pesava più di 635 chili, era cioè arrivato al limite oltre il quale muoversi è quasi impossibile e perfino respirare diventa difficile a causa della massa che ci si porta addosso. Come è possibile ingrassare a tal punto? La scienza non ha ancora risposto a questa domanda: per le cause dell’obesità (cioè della “grassezza” molto accentuata, quando il peso reale supera alme-no del 20% il peso ideale) ci sono solo ipotesi. È stato però scoperto di recente che chi nasce piccolo (meno di 2,9 chili) tende a diventare grasso in età adulta. Quasi che la “rincorsa” al recupero del peso nei primi anni di vita influisca sul metabolismo corporeo per sempre.

Tutta colpa degli antenati
Ma c’è di più. E riguarda tutti: è probabile che nel nostro Dna esista un gruppo di geni che fa in modo che l’organismo sia sempre affamato. Pensiamo alla vita che facevano i nostri antenati nella savana, un milione di anni fa: procurarsi il cibo con la caccia o con la raccolta di radici e frutta era l’attività che impegnava tutta la loro giornata. Chi era più “bravo” sopravviveva e tramandava i suoi geni ai figli: essere sempre pronti a “incamerare” cibo era quindi una caratteristica vincente. Per verificare quest’ipotesi gli scienziati stanno studiando popolazioni che hanno una particolare tendenza alla pinguedine. È il caso dei finlandesi: persone con un patrimonio genetico che da secoli non si mescola con quello di altri popoli e che stanno diventando sempre più grasse. Fino a qualche decennio fa in Finlandia si mangiava solo pesce e pochi cereali. È probabile che questo popolo si fosse abituato a un regime alimentare molto povero e che nel loro Dna agiscano geni che dicono all’organismo “risparmia”. Ora che finalmente hanno a disposizione cibi da tutto il mondo e in grande quantità, ingrassano fino all’obesità. Un fenomeno diffusissimo, che preoccupa i medici locali. I geni riescono probabilmente a disattivare il sistema di regolazione della quantità di grasso nell’organismo. Recentemente, infatti, si è scoperto che il tessuto adiposo è in continuo contatto col cervello: lo informa della quantità di energia stipata negli adipociti. Non solo, in caso di scarsità di cibo (per esempio per una dieta) la ciccia si difende e attiva meccanismi che inducono l’organismo a “risparmiare” in modo che almeno un po’ d’adipe resti al suo posto.

Fame atavica
La ciccia, infatti, emette un ormone, la leptina, che dice ai centri nervosi “sei già cicciottello, non aver più fame”. Quando invece la leptina scarseggia (il corpo è magro) l’organismo è invogliato a ingozzarsi. Se questo meccanismo funzionasse, non dovrebbero esistere gli obesi. Forse alcuni geni, particolarmente attivi nelle popolazioni storicamente più “affamate”, riescono a far ignorare al corpo la presenza di leptina. Si sa, per esempio, che gli obesi, pur avendo livelli altissimi di leptina in circolo nel sangue, sono insensibili a questo ormone (hanno cioè fame tanto quanto una persona magra).

Quando fa bene
Ancora oggi, perciò, quando non sappiamo resistere alla tentazione di mettere nel carrello della spesa biscotti e cioccolato siamo guidati dai nostri geni, quelli che nel corso dell’evoluzione ci hanno insegnato a riconoscere e a preferire i cibi ad alto contenuto energetico. E l’organismo mette da parte tutto sotto forma di ciccia: che ci ingozziamo di carne (proteine), pasta (amidi) o dolci (zuccheri e lipidi) per il nostro metabolismo non fa differenza. Ciò che non serve subito viene archiviato solo sotto forma di grassi (trigliceridi) che finiscono nell’adipe a creare “rotolini”. Nei trigliceridi c’è molta più energia che in altre molecole organiche: un solo grammo di grasso contiene 9 kilocalorie contro le 4 degli zuccheri. Ecco perché il corpo preferisce stoccare le sue riserve sotto forma di ciccia e non di muscolo (formato soprattutto da proteine). Non ha senso escludere i grassi dalla propria alimentazione sperando di non ingrassare: qualsiasi altro cibo, se consumato in quantità eccessiva, si trasforma comunque in ciccia. E c’è un motivo più importante: i grassi servono alle nostre cellule per costruire la propria membrana esterna. Ce ne sono di molti tipi, ma l’organismo non è in grado di fabbricarli tutti da sé: due di essi (gli acidi linoleico e linolenico) devono proprio essere “mangiati”(nel pesce e in alcuni oli vegetali). Il grasso fa bene ed è utile soprattutto ai bambini che devono costruire miriadi di cellule nuove. Escludere i lipidi dalla dieta, oltre che dannoso, sarebbe impossibile: si calcola che il 70 per cento dei grassi che mangiamo siano “nascosti” nei cibi (ce ne sono molti anche nella bistecca più magra o nel latte). E poi, se mancassero, i pasti sarebbero insipidi: i grassi trattengono gli aromi prodotti durante la cottura o contenuti nelle spezie. Insomma, senza ciccia addio sapore.

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Un attimo di relax #116

Foto, citazione e libro della settimana sono il mio modo per regalarvi un minuto di relax.

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“La tua schiena è il mio cuscino preferito”

Ci vuole tutta una vita per capire che non è necessario capire tutto.” ~ Proverbio cinese

Libro della settimana:

Mandala & Meditazioni per la Vita di Tutti i Giorni

Si può morire di dolore?

Un grande dolore è in grado, se non di uccidere, di far morire prematuramente una persona. Dati di tipo statistico provano che un dolore eccezionale, come quello provocato dalla morte di un figlio in giovane età, riduce l’aspettativa di vita dei genitori e in particolare delle madri. Uno studio dell’Università di Aarus, in Danimarca, ha rilevato che nel periodo immediatamente successivo al lutto il decesso di uno o di entrambi i genitori è prevalentemente dovuto a suicidi o a cause accidentali; negli anni seguenti invece le cause di morte sono prevalentemente legate a fattori naturali.

Il rischio riguarda soprattutto le madri, per le quali la possibilità di morire per suicidio aumenta del 40%. Se la perdita del figlio è stata improvvisa o la morte violenta, la percentuale aumenta ulteriormente. Sul lungo periodo il decesso avviene per malattie cardiovascolari e forme tumorali. All’origine di queste patologie i ricercatori individuano una condizione di forte stress psicologico che, oltre ad avere conseguenze debilitanti sull’organismo, può indurre comportamenti rischiosi per la salute come l’abuso di alcol e di tabacco e abitudini alimentari dannose.

Si è notato che in genere gli uomini hanno maggiori difficoltà a reagire alla perdita del partner rispetto alle donne. Anche in questa specifica circostanza cresce il rischio di morte per cause naturali.

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Un attimo di relax #115

Foto, citazione e libro della settimana sono il mio modo per regalarvi un minuto di relax.

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“Ubriaco? Ma se ho solo bevuto un bicchiere!”

La risata è la distanza più piccola tra due persone.” ~ Victor Borge

Libro della settimana:

Macrobiotica a Tavola

La steatosi epatica. Cosa è e cosa fare.

Ne soffre circa un quarto della popolazione adulta dei Paesi occidentali. Per fortuna nella maggior parte dei casi la steatosi epatica concede tutto il tempo per correggere i fattori che ne hanno favorito la comparsa senza compromettere il funzionamento del fegato, ma non va sottovalutata. In un discreto numero di casi, infatti, può andare incontro a evoluzione, con la comparsa di un danno progressivamente maggiore del fegato, fino ad arrivare, nei più sfortunati, alla cirrosi. Il primo segno è in genere rappresentato dal fatto di avere un fegato “brillante” all’ ecografia: a farlo brillare è l’ eccessivo accumulo di grasso nelle sue cellule, quello che viene appunto definito come “steatosi”. Limiti In condizioni normali il fegato contiene grasso per non più del 5% del totale: si parla di steatosi quando si supera questo limite, anche se in realtà per essere visibile all’ ecografia la quota deve superare il 30%. Una condizione che viene in genere scoperta per caso, magari perché facendo gli esami del sangue si trovano valori di “transaminasi” o di “gamma GT”, gli esami tipici del fegato, alterati, per cui il medico consiglia un’ ecografia. Più spesso però gli esami sono normali e l’ accumulo di grasso viene svelato perché, facendo un’ ecografia per tutt’ altro motivo, si scopre di avere un fegato “brillante”. Una condizione che un tempo veniva ricondotta all’ eccessivo consumo di alcol, che in realtà si è visto essere in causa solo in una parte dei casi. Più spesso l’ accumulo di grasso non è assolutamente legato all’ alcol: si parla in questi casi di “steatosi non-alcolica”. «È la malattia delle persone sane, di chi mangia bene e fa una bella vita» puntualizza il professor Gaetano Ideo, direttore del Dipartimento di Epatologia dell’ Ospedale San Giuseppe di Milano. Ma non solo: è anche una condizione molto frequente in chi è colpito da una delle malattie tipiche del mondo occidentale. «Nell’ 80-90% dei casi le cause sono dismetaboliche: – prosegue l’ esperto – sono pazienti in soprappeso, che fanno poco movimento, che sono affetti da diabete o da dislipidemia (colesterolo e/o trigliceridi alti)». C’ è poi una parte di soggetti in cui esiste una predisposizione genetica. «Ci sono giovani di 20 anni con steatosi che non sono in sovrappeso e che hanno il colesterolo normale, – aggiunge Ideo – ma quando si va a indagare si scopre che hanno una familiarità per malattie cardiovascolari o per diabete».

La Nash
Oltre alla sempre maggiore diffusione del problema, ciò che preoccupa gli esperti è la possibilità che una parte di queste steatosi possa assumere un andamento progressivo ed evolvere in una forma di epatite, la Nash (Non-alcoholic steatohepatitis), una malattia di cui si è cominciato a parlarne solo negli anni ‘ 80. La steatosi non-alcolica è un termine generico che si riferisce a qualsiasi accumulo di grasso nel fegato che sia indipendente dall’ alcol. La Nash invece indica che l’ accumulo di grasso ha indotto un’ epatite, una reazione infiammatoria . Si stima che circa un quarto dei soggetti con steatosi vadano incontro alla Nash. In questo caso, oltre all’ accumulo di grasso si ha la comparsa nel fegato di fibrosi conseguente ai processi infiammatori. A loro volta una minoranza di coloro che sviluppano una Nash, si calcola intorno al 15%, possono presentare un’ ulteriore evoluzione in cirrosi.

Come rimediare
Che cosa fare, dunque, se si scopre un fegato grasso? In primo luogo, è necessario capire qual è la causa della steatosi . Quando la si trova, non bisogna adagiarsi sul consiglio un po’ generico di non mangiare troppi grassi. Bisogna procedere a uno studio adeguato del fegato per vedere quali sono le cause. Sarà opportuno effettuare, oltre agli esami di funzionalità del fegato, la ricerca dei virus dell’ epatite, in particolare quello della C, e delle diverse malattie la cui presenza favorisce la steatosi, oltre a considerare eventuali farmaci in grado di provocarla. Sarebbe utile, inoltre, escludere l’ eventuale presenza di steatosi in tutti coloro che hanno condizioni di rischio, quali diabete, obesità, alterazione dei livelli di colesterolo e trigliceridi. Anche perché queste sono tutte condizioni che non danno disturbi e si rischia di accorgersi dalla steatosi che vi si accompagna solo quando il danno strutturale del fegato è già comparso.

La cura
Una volta inquadrato il problema, la terapia principale consiste nell’ eliminare o tenere sotto stretto controllo i fattori che hanno favorito la steatosi: si tratta di correggere le alterazioni di colesterolo e trigliceridi, di controllare il diabete con una terapia più aggressiva, di dimagrire in caso di obesità. La perdita di peso grazie alla dieta e all’ aumento dell’ attività fisica è sicuramente in grado di far «dimagrire» anche il fegato.
Via

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Infezioni intime, come combatterle?

Lavoro, famiglia, hobby: la vita di una donna si divide tra impegni personali e professionali che la tengono lontana da casa tutto il giorno, provocando stress e disagi.
Soprattutto nella vita intima: le patologie e le infezioni sono in costante crescita, nella vita delle donne ma anche in quella delle adolescenti. Secondo le stime infatti, l’età media della prima visita dal ginecologo, negli ultimi anni, si è abbassata proprio a causa della maggiore diffusione di malattie come le vaginosi batteriche o le infezioni di origine micotica come la candida. Lo sport, le lunghe giornate trascorse fuori dall’ufficio e la scarsa pulizia dei luoghi pubblici che, per forza di cose, bisogna frequentare quotidianamente, non fanno che alterare in modo sistematico l’equilibrio delle zone intime femminili.
La scarsa prevenzione e una bassa attenzione verso problemi di questo tipo potrebbero essere la causa non solo della maggiore diffusione delle infezioni intime ma anche del loro ripresentarsi.

Come evitare che ciò accada?Gli esperti consigliano di fare attenzione all’alimentazione: non tutti sanno che una dieta sana può riflettersi sulla vita uro-vaginale e che mangiare molta frutta e verdura aiuta a prevenire le irritazioni. I medici ammettono che tenere sotto controllo lo stress è fondamentale e che utilizzare un vestiario adatto può rappresentare un’arma vincente per la prevenzione. Proprio l’abbigliamento, soprattutto quello intimo, può veicolare un maggior numero di problemi: meglio non esagerare con pantaloni e collant troppo stretti e utilizzare, se possibile, biancheria adeguata (ad es. Argentelle) e, ancora, curare l’igiene intima, con lavaggi frequenti e detergenti che rispettino il Ph e la flora batterica vaginale, con particolare attenzione nel periodo del ciclo mestruale.
Stare fuori casa tutto il giorno di certo non aiuta a costruire un equilibrio intimo efficace a combattere i pericoli che ogni donna si trova ad affrontare. Ma, per migliorare la vita intima, sono davvero pochi e comuni gli accorgimenti da tenere a mente.

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Un attimo di relax #114

Foto, citazione e libro della settimana sono il mio modo per regalarvi un minuto di relax.

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“Mi faccio una dormita.”

Gli uomini hanno bisogno di qualche attività esterna, perché sono inattivi dentro.” ~ Arthur Schopenhauer

Libro della settimana:
Iperlettura - La Lettura ad Alta Velocità

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